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La sanzione senza precetto. Verso un congedo delle misure di prevenzione dalla materia penale?[1]

A sanção sem preceito. Rumo a uma licença de medidas de prevenção de questões criminais?

The sanction without precept. Towards a leave of prevention measures from criminal matters?

Federico Consulich
Università degli Studi di Torino, Italia

La sanzione senza precetto. Verso un congedo delle misure di prevenzione dalla materia penale?[1]

Revista Brasileira de Ciências Policiais, vol. 14, núm. 11, 2023

Academia Nacional de Polícia

Recepción: 21 Octubre 2022

Aprobación: 21 Octubre 2022

Sommario: Le misure di prevenzione personali veicolano seri rischi di lesione dei diritti dei cittadini. In particolare, il giudizio di pericolosità, su cui si fondano, difetta di determinatezza tanto nella base quanto nel metro di valutazione, rappresentando così un punto di crisi della disciplina italiana rispetto alle garanzie costituzionali e a quelle della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Nella costruzione di uno statuto costituzionale e convenzionale della prevenzione, occorre guardarsi dal ricavare per analogia una serie di tutele previste in campo penale, edificando invece un autonomo corredo di garanzie, in ragione della peculiare conformazione di tali misure, in primis l’assenza di un illecito del destinatario quale loro presupposto. È dunque giunto il tempo di abbandonare il tentativo di riproporre, in questo settore, simmetrie astratte con il diritto penale: troppo facile per il legislatore aggirare il problema di una sanzione senza delitto con qualificazioni formali di facciata e troppo distante la struttura della fattispecie di prevenzione da quella di un’incriminazione, come ciricorda anche la giurisprudenza convenzionale. Meglio piuttosto aggiornare i lineamenti dell’habeas corpus affinché sia in grado di contrastare i molteplici meccanismi abusivi con cui la libertà personale viene oggi compressa, a volte prima della, a volte a prescindere dalla commissione di un reato.

Parole: diritto penale, misure di prevenzione, Convenzione europea dei diritti dell’uomo, libertà personale.

Resumo: As medidas de prevenção pessoal representam um sério risco para os direitos dos cidadãos. Em particular, o julgamento de periculosidade, no qual se fundamentam, tem uma falta de determinação tanto na base quanto na medida, representando um ponto crítico da disciplina italiana no que diz respeito às garantias constitucionais e às garantias da Convenção Europeia de Direitos Humanos. Direitos. No desenvolvimento de um estatuto constitucional e convencional de prevenção, é necessário evitar derivar, por analogia, uma série de proteções exigidas no campo penal, criando-se, em vez disso, um leque autônomo de garantias, devido à estrutura específica de tais medidas, em primeiro lugar de todos a ausência de um ato ilegal do destinatário como seu pré-requisito. Convém, portanto, abandonar a tentativa de reproduzir, neste campo, simetrias abstratas com o direito penal: é muito fácil para o legislador evitar o problema de uma sanção sem crime por meio de qualificações formais e a estrutura de prevenção está muito distante da a estrutura de uma acusação, como nos lembra a jurisprudência convencional. Pelo contrário, é melhor atualizar os recursos do habeas corpus para poder se opor aos vários mecanismos abusivos usados ​​hoje para reduzir a liberdade pessoal, às vezes antes, às vezes independentemente da prática de um crime.

Palavras-chave: direito penal, medidas de prevenção, Convenção Europeia dos Direitos Humanos, liberdade pessoal.

Abstract: Personal prevention measures present a serious risk to citizens’ rights. In particular, the judgement of dangerousness, on which they are grounded, has a lack of determination both in the basis and in the yardstick, representing a critical point in the Italian discipline with regard to constitutional guarantees and the guarantees of the European Convention on Human Rights. In the development of a constitutional and conventional statute of prevention, it is necessary to avoid deriving, by analogy, a series of protections required in the criminal field, creating instead an autonomous range of guarantees, due to the specific structure of such measures, first of all the absence of an illegal act of the recipient as their prerequisite. It is therefore appropriate to abandon the attempt to reproduce, in this field, abstract symmetries with criminal law: it is too easy for the legislator to avoid the problem of a sanction without a crime through formal qualifications and the structure of prevention is too distant from the structure of an indictment, as conventional jurisprudence reminds us. Rather, it is better to update the habeas corpus features in order to be able to oppose the several abusive mechanisms used today to reduce personal freedom, sometimes before, sometimes regardless of the commission of a crime.

Keywords: criminal law, prevention measures, European Convention on Human Rights, personal freedom.

1. INTRODUZIONE. L’ECCEZIONE DELLA PREVENZIONE: LA SANZIONE SENZA PRECETTO

Senza scomodare raffinate teorie delle norme, più prosaicamente si può dire che il penalista è avvezzo a maneggiare norme composte da un precetto (o norma comportamentale) e una sanzione (o norma sanzionatoria) da applicarsi nel caso di fallimento, vale a dire di mancato rispetto della prima.

Tutt’altro lo scenario nel campo delle misure di prevenzione. Queste sono strutturalmente, oseremmo dire ontologicamente, difformi rispetto alla norma penale per due principali motivi:

Che ci si trovi dunque di fronte ad un aliud rispetto all’universo penalistico è evidente. Tanto adottando una prospettiva, per così dire, imperativista, quanto normativista.

La prima, così influente sul tecnicismo giuridico italiano di inizio Novecento e sulla scuola classica tedesca, come noto concepisce il diritto penale come strumento di condizionamento diretto dei consociati attraverso comandi[2]: ebbene, la prevenzione è per lo più pura afflizione senza un previo ordine generale e astratto rivolto ai destinatari.

Anche in una prospettiva à la Kelsen, a cui il penalista italiano è dal dopo guerra ad oggi legato a doppio filo, come si ben può leggere nei lavori di Marcello Gallo agli inizi degli anni Cinquanta e ancor oggi conferma Paliero[3], non può che percepirsi l’estraneità delle misure ante delictum: nel paradigma esplicativo kelseniano la sanzione (o norma sanzionatoria), da intendere come vera e propria ratio essendi di una norma valida, rappresenta la seconda componente dell’enunciato ipotetico deontico, accanto al precetto comportamentale. Sicché delle due l’una: se quest’ultimo è rispettato, il precetto sanzionatorio rivolto ai giudici non trova applicazione, se invece non lo è, si deve attivare la risposta reattiva dell’ordinamento[4]. Nel caso delle misure di prevenzione invece la norma sanzionatoria opera a prescindere da questo meccanismo.

Ci troviamo allora in presenza di una disciplina sui generis, che nonostante la tradizionale assimilazione al diritto penale, non ha con questo nulla a che spartire.

Proprio nella indubbia originalità della prevenzione risiede il problema fondamentale delle misure ante delictum, quanto meno nell’ambito di uno Stato di diritto: esse difettano di una giustificazione per la cifra di sofferenza che veicolano a carico del destinatario.

In altro modo, non diversamente dal diritto penale, esse presentano al legislatore ‘il conto’ in termini di elevato costo sociale, in chiave di incapacitazione, quanto meno parziale, del destinatario (per le misure personali), di danno economico per lo stesso (per quelle patrimoniali), senza alcuna contropartita in termini di tutela diretta di beni giuridici. Questi ultimi sono presenti sullo sfondo, ma non come destinatari di un’offesa, ma di una prevenzione generalizzata e indistinta.

Ciò non di meno la proliferazione del tessuto della prevenzione ne testimonia l’intrinseca appetibilità per il legislatore contemporaneo attento a garantirsi un pervasivo strumento di controllo sociale; la circostanza dovrebbe indurre ad un’estrema diffidenza il penalista liberale, come rispetto ad ogni altro istituto che si faccia comodo strumento della tutela del livido volto dell’ordine pubblico.

2. I MOLTEPLICI VOLTI DELLA PREVENZIONE, DALLA DIMENSIONE PUBBLICA A QUELLA PRIVATA

Nel nostro ordinamento il ricorso alle misure di prevenzione è una costante che affonda le radici addirittura nella legislazione preunitaria sabauda[5]. Lungi dal ripercorrere le molteplici evoluzioni normative in argomento, si può però facilmente costruire una tassonomia che schematizzi le aree di impiego di siffatti strumenti, via via aggregatesi l’una sull’altra.

Nel frattempo, raggiunta una fase, per così dire di ‘maturità’ del sistema della prevenzione, si è assistito ad un consolidamento, in un unico testo normativo della stratificazione normativa decennale che ormai si era registrata. Si è così giunti al d. lgs. 159/2011 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione[13]).

Al netto degli interventi normativi anche recentissimi, è possibile constatare l’assestamento di un rapporto ‘a specchio’ tra misure di prevenzione ante delictum e misure di sicurezza post delictum, che trova la propria ‘cerniera’ nel concetto di pericolosità personale: prima del reato, questa assume le fattezze della pericolosità per la sicurezza pubblica (si vedano artt. 2 co. 1 e 6 co. 1 del d. lgs. n. 159) e giustifica l’adozione di una misura di prevenzione; dopo l’illecito, viene normativamente declinata come pericolosità sociale, ai sensi del combinato disposto degli artt. 202 e 203 Cp, e fonda l’applicazione di una misura di sicurezza[14].

3. PREVENZIONE E DIRITTO PENALE: ANALOGIE FUNZIONALI E DIFFORMITÀ STRUTTURALI

Avendo misurato l’estensione del perimento delle misure di prevenzione nel nostro ordinamento, è ora il tempo di indagarne i caratteri tipici, anche attraverso un confronto con le sanzioni penali, rispetto a cui si possono notare molteplici affinità.

Basti considerare il profilo funzionale di entrambe: gli scopi perseguiti (la prevenzione dei reati) e i meccanismi impiegati (l’incisione della libertà personale, quanto meno per le misure in analisi) sono del tutto assimilabili.

Si tratta di strumenti afflittivi, sia per la sofferenza specifica che veicolano a carico del destinatario, sia per la stigmatizzazione sociale che ne deriva[15]. Sono gli interessi personalissimi attinti da tali misure e la degradazione che ne consegue, già notata dalla Corte costituzionale nella nota sentenza n. 68 del 1964, ad avvicinarle inevitabilmente ai principi penalistici di garanzia.

In questo senso può rilevare:

Anche per altro verso si possono notare momenti di vera e propria tangenza tra misure ante delictum e sistema penale.

A mero titolo di esempio, si ricordi che la violazione delle prescrizioni è sanzionata con la reclusione da uno a tre anni e con la multa, ai sensi dell’art. 76 co. 2 d.lgs. 159/2011, o che la sottoposizione a misura di prevenzione personale (o l’esserlo stato nei tre anni precedenti) aggrava il trattamento sanzionatorio per una cospicua serie di illeciti penali, ai sensi dell’art. 71 d. lgs. 159/2011[18].

Ciò non di meno è evidente, altresì, una netta cesura tra le due normative.

Le misure di prevenzione non hanno alcuna connotazione retributiva, perché, più in radice, è assente il presupposto di un fatto illecito da sanzionare proporzionalmente. Esse, infatti, non prendono le mosse da un’offesa ingiusta che costituisca fondamento giustificativo e limite della punizione legittima.

A ben guardare manca il prius logico di un qualsiasi tipo di sanzione, poiché per essere tale, una misura afflittiva deve implicare per l’autore un danno superiore all’offesa cagionata all’interesse protetto dall’ordinamento o comunque una riduzione qualitativa della sua condizione socioeconomica rispetto a quella precedente alla condotta illecita[19]. Nulla di tutto ciò avviene per le misure in analisi, che operano in via anticipata rispetto a qualsivoglia offesa, posto che la loro ratio essendi è la neutralizzazione della probabilità di commissione di reati da parte del prevenuto[20].

La mancanza di un fatto illecito segna, da un lato, l’elemento differenziale fondamentale rispetto alle sanzioni penali e dall’altro lato, paradossalmente, costituisce al contempo un grave potenziale vulnus alle garanzie del cittadino, che si trova privato di un riferimento empirico per le proprie difese.

Misure di prevenzione e pene sono contenute in un medesimo genus, quello delle misure afflittive di controllo sociale, ma solo le pene prevedono un’afflizione funzionale alla punizione di un fatto[21].

4. LA CONVENZIONE EDU E L’IRRILEVANZA DELLA CD. MATIÈRE PÉNALE

Anche in materia di prevenzione, da tempo la Costituzione costituisce solo uno dei parametri di garanzia per il cittadino, cui si è affiancata la Convenzione europea dei diritti dell’uomo con la annessa giurisprudenza della Corte di Strasburgo.

Proprio quest’ultima rappresenta un’interlocutrice imprescindibile per l’interprete, essendo intervenuta ripetutamente con pronunce via via più significative.

Anche dalla giurisprudenza europea è emersa, come già dalle sentenze della Corte costituzionale, la piena legittimazione delle nostre misure di prevenzione, quali strumenti necessari per il conseguimento di obiettivi di sicurezza pubblica compatibili con la Convenzione[22].

Al penalista nostrano sorge spontanea e immediata la domanda se le misure ante delictum appartengano alla matière penale convenzionale e dunque meritino l’applicazione delle relative garanzie, in primis quelle di cui agli artt. 6 e 7 della Convenzione, e in secundis quella – davvero à la page negli ultimi tempi – del ne bis in idem (sostanziale) rispetto alle sanzioni penali strictu sensu[23].

Le risposte, a questo proposito, sono molto chiare e in qualche modo conseguenziali tra loro.

La Corte ha ripetutamente escluso la natura penale delle misure di prevenzione, tanto personali (sorveglianza speciale) quanto patrimoniali (confisca di prevenzione)[24], individuando poi il parametro convenzionale di riferimento non tanto nell’art. 5, posto a tutela della libertà personale, quanto nell’art. 2 del IV Protocollo, che presidia la libertà di circolazione[25].

Paradigmatico il caso della sorveglianza speciale. Se nel caso Guzzardi vs Italia[26], la misura accompagnata dall’obbligo, oggi non più previsto, di soggiornare in comune diverso dalla residenza era stata effettivamente giudicata lesiva del diritto di cui all’art. 5 Convenzione edu, successivamente la Corte ha ricondotto la stessa misura (sia con divieto di soggiorno in uno o più comuni sia con obbligo di soggiorno nel comune di residenza) all’art. 2 del Prot. IV Convenzione edu, in quanto tali imposizioni non avrebbero carattere privativo della libertà personale, ma meramente limitativo della libertà di circolazione e di movimento[27].

Conseguentemente, è da negare l’operatività del principio del bis in idem (sostanziale), poiché questo presuppone due sanzioni riconducibili alla materia penale secondo i noti criteri Engel[28].

La morale che si può trarre dalla esperienza convenzionale è che l’esclusione delle misure di prevenzione dall’ambito penalistico non significa però per la Corte edu la rinuncia a stringenti garanzie per il cittadino, precisamente:

La summa di questo approccio, coerente sviluppo della giurisprudenza della Corte edu, è rappresentata dalla oramai celeberrima sentenza De Tommaso vs Italia[30], nella quale la Corte ha rilevato, in prima battuta, l’insufficiente prevedibilità delle conseguenze della propria condotta per il soggetto colpito dalla misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale e, in seconda battuta, la vaghezza e imprecisione relativa al contenuto delle prescrizioni che si accompagnano all’imposizione della stessa.

Si tratta delle stesse ingiunzioni che non molti anni prima la Consulta (sentenza n. 282/2010) aveva ritenuto fossero sufficientemente determinate, scrutinando il reato che puniva la violazione della sorveglianza speciale e in particolare delle prescrizioni di cui all’art. 5 dell’allora l. 1423/1956 (la prescrizione di “vivere onestamente”, “rispettare le leggi”, nonché quella di “non dare ragioni di sospetti”, secondo la disciplina in quel tempo vigente).

Anche la Cassazione aveva legittimato in varie occasioni[31] tali previsioni, per quanto debba ammettersi che la stessa Suprema Corte abbia comunque, al contempo, tentato di contenere la vaghezza della fattispecie penale riferita alla violazione delle prescrizioni connesse alla misura di prevenzione (oggi prevista all’art. 75 co. 2 d. lgs. 159/2011), sostenendo che potesse rilevare solo quella inosservanza che si traducesse in una vanificazione della misura stessa[32].

Il dictum della Corte europea concerne essenzialmente l’indeterminatezza della fattispecie di pericolosità generica, che renderebbe impossibile prevedere con sufficiente certezza l’ambito di applicazione delle misure in analisi e dunque prevenirne un’interpretazione arbitraria (§§ 117 e 118 della sentenza).

In secondo luogo, è stata censurata la vaghezza di alcune prescrizioni obbligatorie che corredano la sorveglianza speciale, con particolare riferimento a quelle di vivere onestamente e rispettare le leggi e di non dare ragioni di sospetti (§ 119 della sentenza)[33], ma altresì delle prescrizioni facoltative, che il giudice può imporre discrezionalmente alla sola condizione che siano necessarie alla difesa sociale (§ 121 della sentenza) ed anche la prescrizione del divieto assoluto di partecipare a pubbliche riunioni, senza specificazioni spaziali o temporali, interamente rimessa al libero apprezzamento del giudice (§123 della sentenza).

Tirando le fila del discorso, la lettura della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, confermata anche nel recente caso De Tommaso, dimostra che le ‘garanzie Cedu’ possono essere assai incisive e traumatiche per il nostro sistema della prevenzione, anche senza scomodare la matière pénale.

Dall’analisi combinata del tipo di bene inciso dalla coazione pubblica e del rapporto tra precetto e destinatario emerge per le misure in analisi uno statuto convenzionale flou, variabile a seconda del diritto soggettivo del cittadino che venga in rilievo, ma certo più efficace di una tutela monolitica dipendente della semplice qualificazione formale dello strumento afflittivo[34].

5. LA SITUAZIONE ATTUALE DEL SISTEMA DELLE MISURE DI PREVENZIONE

La sentenza della Corte edu nel caso De Tommaso ha gravemente scosso, sin dalle fondamenta, il sistema italiano della prevenzione, sicché, come era prevedibile, si continuano a registrare movimenti di assestamento nella giurisprudenza, tanto di merito quanto di legittimità, e che giungono fino alla Corte costituzionale.

Sia la Cassazione che le Corti territoriali hanno assunto atteggiamenti diversificati di fronte al dictum della Corte edu, ora di resistenza ora di adeguamento, quest’ultimo secondo due percorsi alternativi: il primo mediato da una questione di legittimità costituzionale, il secondo immediato, caratterizzato cioè dall’impiego della interpretazione convenzionalmente conforme da parte del giudice comune (esemplare in questo senso la sentenza delle Sezioni Unite del 2017 (cd. sentenza Paternò)[35].

La forte sollecitazione del sistema delle misure di prevenzione italiane da parte della Corte edu ha dunque ingenerato reazioni giurisprudenziali variegate, alcune anomale rispetto alle regole di sistema attinenti agli equilibri tra poteri, altre ottative, se non velleitarie. Si tratta, come evidente, di scenari che non possono nemmeno essere lambiti dalla presente analisi; basti qui rilevare che, infine, in esito agli incidenti di costituzionalità proposti, la Consulta ha potuto esprimersi con le decisioni nn. 24 e 25 del 2019, che hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme scrutinate[36].

Si tratta, più precisamente, dell’art. 1 l. n. 1423/1956 (poi confluito nell’art. 1 lett. a d. lgs. n. 159/2011), dell’art. 19 l. n. 152/1975, degli artt. 4, co. 1, lett. c, e 16 d. lgs. 159/2011, per quanto riguarda la sentenza n. 24: troppo impreciso il riferimento all’applicazione delle misure alle persone «abitualmente dedite a traffici delittuosi.[37].

Per quanto riguarda, invece, la sentenza n. 25, essa ha caducato l’art. 75 co. 1 e co. 2 d. lgs. n. 159/2011, nella parte in cui puniscono (rispettivamente, come contravvenzione e delitto) la violazione degli obblighi e delle prescrizioni inerenti alla misura della sorveglianza speciale, ove consistente nell’inosservanza delle prescrizioni di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi”.

Per inciso è da notare come la Corte abbia chiarito che nonostante l’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione (la precitata sentenza Paternò), il completamento del processo di adeguamento del nostro ordinamento al diritto convenzionale passi dallo scioglimento della questione di costituzionalità da parte della Consulta, che, diversamente dalla Corte edu, è in grado di svolgere una valutazione sistemica degli interessi coinvolti (cfr. §§ 12 e ss. del considerato in diritto della sentenza n. 25/2019).

Volendo identificare la cifra delle due decisioni ‘gemelle’ del 2019, anche se la n. 24 assume la maggiore rilevanza occupandosi più da vicino dei presupposti operativi delle misure di prevenzione, è possibile constatare la penetrazione sempre più profonda del principio di prevedibilità della base legale dei provvedimenti che incidano sui diritti dei cittadini. In questo quadro ben può avere un ruolo la giurisprudenza, ma solo come ausilio utile a comprendere esattamente i tratti della disciplina e in tanto in quanto ciò contribuisca ad incrementare il tasso complessivo di accessibilità della normativa[38].

6. QUALI GARANZIE PER LA PREVENZIONE?

Alla luce di quanto fin qui detto, è possibile affermare che le misure in analisi abbiano certamente un contenuto afflittivo, in modo via via crescente passando dall’ammonizione alla sorveglianza speciale; il momento finalistico, orientato alla prevenzione più che alla punizione, unito all’assenza di un illecito presupposto nella struttura di questi istituti, le riconduce però fuori dalla materia penale convenzionale[39].

Occorre ora identificare quali principi costituzionali interni valgano per il diritto della prevenzione.

Impiegare tale nozione può avere una portata euristica e non solo classificatoria, allorché consenta di comprendere come si tratti di una disciplina in sé conchiusa, in cui le garanzie non possono essere pedissequamente importate dal sistema penale, ma devono venire autonomamente forgiate a partire dai diritti che vengono incisi dalla applicazione delle misure ante delictum.

La Costituzione certo tace su queste ultime. Si tratta di un silenzio su cui molto si potrebbe argomentare, sia nel senso che il Costituente abbia espresso per fatti concludenti la volontà di bandirle dall’ordinamento repubblicano[40], sia, in direzione opposta, per sostenere che esista una sorta di statuto costituzionale implicito di siffatti strumenti di controllo sociale, derivabile per analogia iuris dalle garanzie valide per il diritto penale in senso stretto[41].

Ancora oggi la prima opinione è autorevolmente sostenuta, al punto che, per alcuni Autori, quello della prevenzione italiana è un modello costituito da «norme totalmente incompatibili con il quadro dei principi fondamentali»[42].

È certamente di un’opzione lineare e coerente, per vero confortata anche dall’esperienza comparata, che dimostra (come notato dalla stessa Corte edu nella sentenza De Tommaso) che nella maggioranza degli ordinamenti europei non è prevista una disciplina assimilabile alla nostra, il che contribuisce a suggerirne il superamento.

La conclusione però potrebbe, a nostro parere, essere affrettata.

Il fatto possiede a volte una forza tale che il diritto non può che adeguarsi. La domanda sulla costituzionalizzazione implicita delle misure di prevenzione è divenuta oziosa, a seguito del costante impiego di tali strumenti da parte del legislatore dal dopoguerra ad oggi, nonché del riconoscimento da parte della Corte edu della ammissibilità di simili misure nel quadro del legittimo obiettivo di prevenire reati[43].

Di fronte all’interprete si stagliano oggi plurime disposizioni di legge che nell’epoca repubblicana hanno certificato la piena cittadinanza di siffatti strumenti nel nostro ordinamento, il che dovrebbe indurre forse ad un’interpretazione evolutiva del testo costituzionale, per comprendere quali norme di esso possano definire i confini di garanzia delle misure ante delictum.

A conforto di questa tesi, la stessa Consulta, pur avendo rimosso nel corso del tempo le componenti più retrive della disciplina delle misure di prevenzione, ne ha contemporaneamente suggellato la compatibilità con la Carta fondamentale[44].

In particolare, deve segnalarsi che, a seguito della riforma costituzionale del 2001, la menzione dell’ordine pubblico tra le materie di esclusiva spettanza dello Stato all’art. 117 co. 2 lett. b ha indotto la Consulta a evidenziare la stretta connessione tra prevenzione dei reati e tutela dell’ordinata e civile convivenza, rendendo la prima una funzione costituzionalmente rilevante[45].

È, dunque, conseguenziale la legittimazione delle previsioni legislative che si propongano la soddisfazione di tale interesse, all’interno peraltro di un preciso vincolo modale, perché la Corte ha chiarito, ulteriormente, che le misure in analisi possono perseguire l’obiettivo di prevenzione dei reati, ma naturalmente in modo proporzionato, limitando cioè la compressione di controinteressi costituzionalmente rilevanti alle sole ipotesi davvero indispensabili al raggiungimento dello scopo[46].

Accantonato il profilo pregiudiziale della incostituzionalità tout court del sistema della prevenzione, occorre comprendere quali siano le garanzie di riferimento in questa materia e come debbano essere calibrate.

6.1 La determinatezza del presupposto applicativo

Una delle tutele che non cessano di valere nel momento in cui si fuoriesce dal perimetro del diritto penale è certamente la determinatezza, nella duplice declinazione della pretesa di precisione della disposizione legale e della suscettibilità di verifica empirica del fatto tipizzato[47].

Si tratta di un’affermazione condivisa non solo dalla Corte edu, ma anche dalla nostra Corte di Cassazione e, altresì, dalla Corte costituzionale[48].

Peraltro, già da tempo la giurisprudenza di legittimità si è mossa nel senso di fornire una lettura c.d. ‘tassativizzante’ della pericolosità generica e di quella qualificata di tipo mafioso, ‘agganciando’ tali qualifiche alla previa attività delinquenziale compiuta dal proposto[49] e comunque sempre a fatti storicamente apprezzabili indicativi della propensione di quest’ultimo a commettere reati [50].

Nella medesima direzione si può leggere la valorizzazione del nesso tra procedimento di prevenzione ed esiti del giudizio penale, quando questo abbia avuto ad oggetto gli stessi fatti considerati come significativi di una pericolosità del prevenuto, in applicazione di un principio reso manifesto, con riferimento alla confisca, dall’art. 28 d. lgs. 159/2011[51].

Incidentalmente si deve rilevare che siffatta rimodulazione delle disposizioni in parola si traduce in un allineamento tra la disciplina delle misure di prevenzione e quella delle misure di sicurezza. Benché solo le seconde impongano la commissione di un illecito penale, non è negabile l’identità funzionale tra le due misure, entrambe volte alla prevenzione di futuri reati[52].

Il parallelismo è colto già nella sentenza n. 177/1980 della nostra Corte costituzionale, che aveva sostenuto che le misure condividessero la medesima finalità e fossero da intendere come due species di un medesimo genus, il che sottoponeva entrambe al necessario rispetto del principio di tipicità e determinatezza[53]. Sviluppando l’impostazione, la Consulta ha espressamente affermato l’applicabilità alle misure di prevenzione dell’art. 25 co. 3 Cost., riferito esplicitamente alle sole misure di sicurezza[54].

La categoria della pericolosità generica ha subìto dunque nel tempo una sorta di ‘tipizzazione di secondo livello’, operante in particolare nel c.d. diritto vivente, che ha via via preteso che l’inquadramento del proposto nella fattispecie di prevenzione si fondi su dati di fatto identificabili e controllabili[55].

La Corte costituzionale, fin dalla appena citata sentenza n. 177/1980, ha legato strettamente tassatività e determinatezza, intesa come verificabilità empirica o aderenza a vincoli di realtà; in quest’ultima sentenza, in particolare (§ 6 del considerato in diritto), la Consulta ha imposto di distinguere tra fattispecie astratta, descrittiva di tipi di condotte o altri elementi di fatto significativi, e successivo giudizio di pericolosità in concreto del proposto, onde evitare che il giudice definisca di volta in volta, avvalendosi di una discrezionalità senza limiti, i presupposti della misura. Conseguenziale la necessità che nella fattispecie normativa debbano comparire sintomi dotati di chiara natura fattuale, in grado di esprimere una situazione di reale pericolo per l’ordinamento e per la sicurezza pubblica[56], descrivendo sempre comportamenti obiettivamente identificabili[57] ben lontani dalla consistenza del sospetto[58].

Se è vero che la Cassazione ha progressivamente tipizzato la base della prognosi di pericolo, come abbiamo visto, non risulta prudente affidarsi, in un sistema di civil law, esclusivamente alla concretizzazione giurisprudenziale in simili contesti, proprio per la natura intrinsecamente instabile dello strumento ermeneutico se non supportato da una previsione legislativa rigida[59]. Inoltre, l’implementazione della sola prevedibilità del giudizio può essere assai dannosa per le altre componenti della legalità, come abbiamo già avuto modo di apprezzare in altra sede[60].

6.2 La tutela giurisdizionale

Una seconda garanzia, anche se dal punto di vista cronologico è stato il primo nucleo di tutela riconosciuto dalla Corte costituzionale in tema di prevenzione, è tutta processuale, riferibile al principio dell’habeas corpus, che impone un controllo giurisdizionale rispetto ad ogni limitazione della libertà personale del cittadino. In questo senso, fin dalle prime sentenze è stato elaborato dalla Consulta un importante standard di giudizio, secondo cui la garanzia di cui all’art. 13 Cost. deve valere per qualsiasi misura pubblica che veicoli in capo al destinatario una degradazione giuridica assimilabile alla privazione della libertà personale.

L’affermazione si rinviene agli albori della giurisprudenza della Corte, precisamente nella sentenza n. 11/1956 in tema di ammonizione, ma anche nella pronuncia n. 68/1964 con la quale la Consulta è tornata sull’argomento: ogni provvedimento pubblico, che provochi una diminuzione della dignità o del prestigio della persona o che comunque sia suscettibile di determinarne una condizione equiparabile all’assoggettamento all’altrui potere, è potenzialmente lesivo dell’habeas corpus e dunque reclama le relative garanzie[61]. Per la verità, la sentenza del 1964 ha fornito della nozione di degradazione giuridica necessaria ad attivare le garanzie costituzionali una lettura più restrittiva di quanto si potesse pensare dopo la pronuncia del 1956, intendendo come assimilabili ad una limitazione della libertà personale solo quelle più intense forme di degradazione sociale e individuale del destinatario, alla luce di una valutazione di tipo evidentemente quantitativo[62].

6.3 L’inestensibilità delle altre garanzie penalistiche all’universo della prevenzione

Diversamente da quel che accade per la determinatezza, capace di spingersi oltre il confine della materia penale (naturalmente con i dovuti adattamenti), siffatte garanzie patiscono invece una netta riduzione operativa, se non una vera e propria neutralizzazione, allorquando si confrontino con il diritto della prevenzione.

Le ragioni possono essere molteplici. Sono garanzie più evolute e raffinate della semplice determinatezza e precisione del testo normativo, richiedendo un’implementazione ‘di sistema’ e non riferita alla singola disposizione. Peraltro, sono esclusivamente orientate a favore del privato, mentre la determinatezza ha invece un doppio volto, poiché certo giova al destinatariodel comando, ma anche (nella accezione più corretta di tassatività) al potere politico che pretenda di farsi obbedire prontamente e miri a vincolare il giudice alla volontà della maggioranza parlamentare del momento manifestata nella legge[63]. Tra i corollari della legalità, la determinatezza è insomma il più compatibile con gli scopi di controllo sociale o, quanto meno, il vincolo che l’Autorità è più disposta ad accettare.

Irretroattività, colpevolezza e rieducazione, infatti, esprimono un rapporto tra individuo e pubblici poteri impostato in chiave liberale e democratica, improntato alla lealtà del rimprovero normativo e all’autodeterminazione del cittadino. Tutte pongono al centro il destinatario della coercizione statale e la possibilità di quest’ultimo di comprendere il contenuto dei precetti a lui rivolti dall’ordinamento ed orientarsi sulla base di essi, ponendo, se necessario, in secondo piano le pretese di ordine e sicurezza avanzate dall’autorità e dai consociati. Quella del diritto della prevenzione è, invece, una prospettiva evidentemente antitetica, che accorda preminenza alle esigenze pubbliche rispetto alle prerogative del singolo: di qui il sostanziale rigetto, almeno al momento, dei principi diversi dalla determinatezza.

Si noti che anche nelle proposte di riforma della disciplina, volte ad orientarla in senso maggiormente coerente con la Costituzione e la Convenzione edu, la colpevolezza è assente tra i criteri direttivi; sono piuttosto la ragionevolezza e la proporzione a farla da padrone[64], criteri dunque puramente oggettivi e normativi, rilevanti più per l’attività esegetica dell’applicatore piuttosto che per le libere scelte d’azione del destinatario.

Non deve allora stupire che la giurisprudenza affermi che il divieto di retroattività sfavorevole non valga per le misure in analisi e che ancora di recente la Cassazione abbia rilevato, sia pure in materia di confisca, che il principio regolativo della successione di leggi sia il tempus regit actum[65].

È però soprattutto l’universo valoriale dell’art. 27 Cost. a rimanere estraneo alla disciplina delle misure di prevenzione.

L’esclusione della colpevolezza e della rieducazione da tale sottosistema trova fondamento anche nel contenuto delle fattispecie di cui agli artt. 1 e 4 d. lgs. 159/2011. Mentre la prima è sempre riferita ad un fatto commesso dal reo e la seconda trova il proprio riferimento in una condotta espressiva di un antagonismo rispetto ai valori dell’ordinamento, le misure in analisi difettano, come abbiamo visto, di un comportamento illecito compiuto dal proposto e si caratterizzano per una finalità esclusivamente preventiva, in nessun modo contaminata dalla prospettiva risocializzativa[66].

La qualifica di pericolosità, generica o qualificata che sia, veicola insomma una prognosi criminale del giudice sul profilo delinquenziale del prevenuto e non certo una diagnosi rispetto alla responsabilità per un reato già commesso; peraltro, può rilevarsi come in questo ambito si prescinda totalmente dalla sfera soggettiva dell’agente, intesa come rimproverabilità e propensione personale oppositiva rispetto ai valori della collettività: la pericolosità per la sicurezza pubblica è una qualità che si apprezza non in chiave personologica, ma per lo più puramente oggettiva[67].

La logica della prevenzione rappresenta dunque una sorta di ‘canone inverso’ rispetto ai principi di colpevolezza e di rieducazione di cui all’art. 27 Cost.[68].

L’estraneità all’obiettivo rieducativo si apprezza anche dal punto di vista degli effetti delle misure in analisi: gli artt. 66 ss. d. lgs. 159/2011 implicano l’estromissione del prevenuto dal contesto sociale, quanto meno dal punto di vista strettamente economico-produttivo, posto che prevedono decadenze e interdizioni (dalle licenze di commercio, dalle partecipazioni a gare pubbliche, dalle autorizzazioni e dalle concessioni per lo svolgimento di attività imprenditoriali, dai finanziamenti e dalle iscrizioni in registri pubblici ecc.). Perfino la personalità della responsabilità, contenuto minimale dell’art. 27 co. 1 Cost., è posta in discussione da tali previsioni, se è vero che l’art. 67 co. 4 d. lgs. 159/2011 consente al Tribunale di coinvolgere nei divieti e nelle preclusioni previste dai commi precedenti chiunque conviva con il prevenuto.

Per completezza va rilevato che l’estraneità della disciplina in commento rispetto ai contenuti dell’art. 27 Cost. è totale e riferibile dunque anche al profilo processuale della regola di giudizio da applicare nel procedimento di prevenzione. Non vi è spazio per la presunzione di innocenza, poiché l’intero rito si fonda su un’inversione dell’onere della prova, essendo sufficiente all’applicazione della misura, come visto, un semplice indizio, privo dei requisiti di cui all’art. 192 Cpp[69].

Giungendo a sintesi, più che pretendere che vi siano delle tutele connaturate al diritto della prevenzione è preferibile piuttosto applicare le garanzie reclamate dai diritti incisi dalle misure ante delictum: determinatezza da una parte, riserva di giurisdizione effettiva (non meramente formale), dall’altra parte.

7. LA DISTINZIONE ESSENZIALE SULLA BASE DEL RAPPORTO COSTI/BENEFICI: PREVENZIONE PATRIMONIALE VS PREVENZIONE PERSONALE

Tirando le fila del discorso svolto nei paragrafi precedenti, è possibile affermare che le sanzioni penali e le misure di prevenzione abbiano un comune denominatore, la capacità afflittiva, e un elemento differenziale, la funzione punitiva, che è propria solo delle prime.

Mentre l’afflittività di entrambe implica l’estensione di alcune garanzie costituzionali dalle une alle altre, la funzione strettamente punitiva conduce a ritenere applicabili alle sole sanzioni penali tutti i corollari della legalità e i presidi personalistici offerti dalla colpevolezza.

Dal punto di vista dei parametri costituzionali spendibili per sorvegliare l’impiego delle misure ante delictum, è emersa l’imprescindibilità del riferimento all’art. 25 Cost., sub specie di tassatività delle fattispecie di pericolosità, e all’art. 13 Cost. che, rispettivamente, dal punto di vista sostanziale e da quello processuale, testimoniano le garanzie ineludibili da rispettare allorché venga in gioco una compressione della libertà personale, tanto se preventiva alla commissione di un fatto di reato quanto se reattiva ad esso[70].

Ecco dunque il volto costituzionale delle misure di prevenzione, disegnato sulla base della loro capacità di incidere sui diritti e sullo status sociale dei cittadini[71].

Ciò non di meno, la legittimità costituzionale di siffatte misure non ne implica l’opportunità e l’utilità.

Sono valutazioni costo/beneficio che dovrebbero indurre ad abbandonare siffatta strategia di controllo sociale: la prevenzione presenta infatti oneri non giustificati da correlative utilità collettive.

Non solo spese per il mantenimento degli apparati per l’applicazione delle misure, ma costi immateriali, non da ultimo l’alone di sospetto che circonda la prevenzione e che impone un costante monitoraggio delle stesse da parte delle istituzioni di garanzia[72]. Per usare un termine della scienza economica, queste misure scontano un “alto costo di transazione”, qui da misurare in termini di legittimazione sociale e di congruenza con i principi fondamentali di sistema, da intendere come sintesi di Costituzione e convenzione.

É poi una considerazione effettuale a imporsi: ben prima di possibili profili di illegittimità costituzionale delle misure personali è la questione, tutta di fatto, della loro inefficacia preventiva a metterne in discussione la permanente legittimazione nel nostro sistema del controllo sociale[73].

Che si possa fare a meno della prevenzione personale è dimostrato, per tabulas, da una semplice analisi comparatistica, come quella condotta proprio di recente in una sede ‘qualificata’: la Corte Edu, nella sentenza De Tommaso vs Italia, ha rilevato (§ 69) come istituti simili alle nostre misure ante delictum siano presenti solo in 5 dei 34 Stati membri del Consiglio d’Europa[74].

Sia detto solo per inciso: le valutazioni sin qui svolte non valgono, se non in parte, per le misure di prevenzione patrimoniale, di cui non abbiamo fatto cenno nel presente lavoro.

Al netto di un’inevitabile modulazione ‘al rialzo’ delle garanzie, in primis processuali[75], che la rendano pienamente compatibile con lo scenario costituzionale, deve ammettersene una maggiore giustificabilità in un’ottica di sistema.

Innanzitutto, dal punto di vista funzionale: si tratta infatti di misure ablative sicuramente idonee a privare dei mezzi di sostentamento le associazioni criminali mafiose e terroristiche o comunque ad ostacolarne grandemente l’operatività, oltre a rappresentare un forte disincentivo alla commissione di reati economicamente motivati; finalità dunque che sono molto più nitide e suscettibili di verifica ex post rispetto alle misure personali. Inoltre, forse soprattutto, si stagliano nitidamente di fronte all’interprete interessi afferrabili, alla cui tutela la prevenzione patrimoniale si rivela strumentale: l’accumulazione illegittima di profitti genera infatti perversi effetti distorsivi sul mercato e sulla concorrenza, con evidenti e misurabili ricadute negative per la collettività.

Si può dunque pensare che, in futuro, la prevenzione possa essere ridotta alla pura prevenzione economica (previa migliore calibratura rispetto ai diritti del prevenuto). D’altra parte, già oggi, la confisca è ormai molto distante dalle misure personali: il principio di indipendenza reciproca tra le due tipologie di strumenti ante delictum era stato riconosciuto con il d.l. n. 92 del 2008[76] venendo poi confermato dalla l. n. 94 del 2009[77]. L’assetto è stato, infine, cristallizzato dall’art. 18 d. lgs. 6.9.2011 n. 159, sicché è possibile procedere all’applicazione disgiunta delle due tipologie di misure, finanche ammettendo che le patrimoniali operino in difetto dei presupposti di quelle personali, dunque della stessa pericolosità del proposto al momento della richiesta[78].

8. CONCLUSIONI. LO SCENARIO FUTURO: L’AMPUTAZIONE DELLA PREVENZIONE PERSONALE DAL CONTROLLO SOCIALE

Le misure in analisi si pongono al limite estremo della coercizione legittima da parte dello Stato democratico[79] e il dovere del giurista liberale è di chiedersi se sia davvero necessario spingere fino a tale punto il controllo pubblico posto che la misura ante (o praeter) delictum è solo una delle possibili opzioni sul campo, una species del genus della prevenzione giuridica degli illeciti penali.

La prevenzione del crimine è certamente uno dei doveri primari di ogni legislatore contemporaneo, ma i percorsi possibili per adempiere a tale obbligo[80] sono molteplici e l’impiego di misure restrittive della libertà personale (o di ablazione patrimoniale) in via anticipata rispetto al compimento di qualsivoglia illecito è solo uno dei tanti e peraltro il piùcostoso, in termini di sacrificio dei diritti dei destinatari.

Senza voler scomodare il riferimento a politiche sociali di integrazione e rimanendo al solo ambito del diritto pubblico, in chiave di razionalità di scopo è ovvio pensare che la più efficiente profilassi, soprattutto rispetto ai fenomeni criminosi più temuti (terrorismo, associazioni mafiose), si compia sul piano dell’intelligence e delle investigazioni preventive, piuttosto che attraverso obblighi o divieti di soggiorno, con il corredo di prescrizioni variegate o ammonizioni a tenere condotte conformi alla legge.

Eppure, misure come il foglio di via obbligatorio e l’avviso orale (le c.d. misure questorili), da una parte, e la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, dall’altra parte, continuano oggi a prosperare sia sul piano della prassi che su quello della legislazione, pur in presenza di fattispecie penali sempre più anticipate e disancorate da un collegamento con associazioni illecite[81].

Un simile approccio trova fondamento in una visione ‘riduzionistica’, se non autoritaria, del concetto di sicurezza pubblica[82], che considera cioè quest’ultima come sinonimo di ordine pubblico, da mantenere solo percorrendo i frustri binari di misure preventive che divengono strumento punitivo.

BIOGRAFIA DELL'AUTORE

Federico Consulich

Dottorato di ricerca in Diritto penale italiano e comparato (Università degli studi di Pavia - Pavia - IT). Professore ordinario (Università degli Studi di Torino - Torino - IT). Professore associato di Diritto penale (2014 - 2020) (Università degli Studi di Genova - Genova - IT). Ricercatore di diritto penale (2012 - 2014) (Università degli Studi di Genova - Genova - IT). Avvocato cassazionista (studio legale Giannangeli Consulich - Milano - IT). Diritto penale dell'economia. Membro del comitato scientifico delle riviste La legislazione penale, Sistema penale, DisCrimen e della rivista Giurisprudenza penale web. Sono revisore delle riviste Banca, Borsa e Titoli di credito, Rivista italiana di diritto e procedura penale e Rivista telematica di Diritto Tributario

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Nota

[1] Questo articolo è stato originariamente pubblicato nel 1 Ottobre 2019 sulla rivista DisCrimen (ISSN 2704-6338), 3/2019, p. 39-68, disponibile su: e gentilmente fornito dall'autore per la ripubblicazione in questa rivista scientifica.
[2] Il riferimento corre qui alla riflessione di THON, August. Norma giuridica e diritto soggettivo, trad. it. a cura di LEVI, Alessandro, Padova: CEDAM, 1951.
[3] Si veda l’approccio di Marcello Gallo in Il concetto unitario di colpevolezza, Milano: Giuffré, 1951, p. 109 ss., nonché l’affermazione di Paliero «come penalista, non posso non dirmi kelseniano», in PALIERO, Carlo Enrico. L’indifferenza costruttiva, il contributo della sociologia di Theodor Geiger a teoria e prassi del diritto penale. Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 2019, p. 724.
[4] Si veda KELSEN, Hans. La dottrina pura del diritto, Torino: Einaudi, 1967 e KELSEN, Hans. Lineamenti di dottrina pura del diritto, Torino: Einaudi, 1970.
[5] Si vedano le nitide riflessioni in proposito di PADOVANI, Tullio. Fatto e pericolosità. In: PAVARINI Massimo; STORTONI Luigi (a cura di). Pericolosità e giustizia penale. Bologna: Bononia University Press, 2013, p. 122. La notazione è di STANIG, Eva. L’evoluzione storica delle misure di prevenzione. In: FIORENTIN, Fabio (a cura di). Misure di prevenzione personali e patrimoniali. Torino: Giappichelli, 2018, p. 39. Sull’evoluzione storica delle misure di prevenzione FIANDACA, Giovanni. Misure di prevenzione (profili sostanziali). In Digesto discipline penalistiche, VIII, Torino, 1994, p. 109 ss.; MAIELLO, Vincenzo. La prevenzione ante delictum: lineamenti generali. In PALAZZO Francesco; PALIERO, Carlo Enrico (diretto da). Trattato teorico pratico di diritto penale, XII. Torino: Giappichelli, 2015, p. 300 ss.
[6] Sul nesso strutturale tra i concetti di pubblica tranquillità e ordine pubblico sia consentito il rinvio a CONSULICH, Federico. Reati contro l’ordine pubblico. In: ANTOLISEI Francesco; GROSSO Carlo Federico (a cura di), Manuale di diritto penale, Parte speciale, II. Milano: Giuffré, 2016, p. 100. Nello stesso senso PELISSERO, Marco. La nozione di ordine pubblico. In: PELISSERO, Marco (a cura di). Reati contro la personalità dello Stato e contro l’ordine pubblico, in PALAZZO, Francesco; PALIERO, Carlo Enrico (diretto da). Trattato teorico pratico di diritto penale, IV. Torino: Giappichelli, 2010, p. 225 ss. e, in precedenza, DE VERO, Giancarlo. Tutela dell’ordine pubblico e reati associativi. Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 1992, p. 93; DE VERO, Giancarlo. Tutela penale dell’ordine pubblico, Milano: Giuffré, 1988, p. 39 ss., nonché FIANDACA, Giovanni. Criminalità organizzata e controllo penale. Indice penale, Roma, 1991, p. 5; nella manualistica, sulla nozione di ordine pubblico materiale, declinato in senso oggettivo, come tranquillità, pace e quiete pubblica, o in accezione soggettiva, come opinione dei cittadini sulla sicurezza, CADOPPI, Alberto; VENEZIANI, Paolo. Elementi di diritto penale. Parte speciale. Padova: CEDAM, 2016, p. 177 ss.; FIANDACA, Giovanni; MUSCO, Enzo. Diritto penale, Parte speciale, I. Bologna: Zanichelli, 2012, p. 474 ss. In generale, sull’ordine pubblico come oggetto di tutela penale cfr. DE VERO, Giancarlo. Ordine pubblico (delitti contro). In Digesto discipline penalistiche, IX, Torino, 1995, p. 72 ss; MOCCIA, Sergio. Ordine pubblico (disposizioni a tutela dell’). Enciclopedia giuridica Treccani, XXII, Roma, 1990, p. 1 ss.; FIORE, Carlo. Ordine pubblico (dir. pen.). Enciclopedia del diritto, XXX, Milano, 1980, p. 1084. Sulla connessione tra ordine pubblico e pubblica tranquillità si veda anche la giurisprudenza, pur se in tutt’altro contesto rispetto alle misure di prevenzione (l’applicazione dell’art. 419 Cp): Cass. 6.5.2014, dep. 9.9.2014, n. 37367 (Rv. 261932), in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2015, p. 152, con nota di G.P. DEMURO, La fattispecie di devastazione: una sua descrizione, tra offensività e ragionevolezza. Per la Cassazione all’«ordine pubblico, inteso come buon assetto o regolare andamento del vivere civile, corrispondono, nella collettività, l'opinione e il senso della tranquillità e della sicurezza». Nello stesso anche Cass. 1.4.2010, dep. 14.6.2010, n. 22633, in CEDCass m. 247418.
[7] Sull’evoluzione del concetto di ordine pubblico, fino a giungere alla nozione di ordine pubblico costituzionale come presupposto per la preservazione delle strutture giuridiche della convivenza sociale sulla base degli interventi della Consulta, si veda FORNASARI, Gabriele. Introduzione. In: FORNASARI, Gabriele; RIONDATO, Silvio (a cura di). Reati contro l’ordine pubblico, Torino: Giappichelli, 2017, XVIII. Rilevanti sono, in particolare, le sentenze n. 19/1962 e n. 168/1971. Nella prima si può leggere (§ 4 del considerato in diritto) che se «l'ordine pubblico è un bene inerente al vigente sistema costituzionale, non può del pari dubitarsi che il mantenimento di esso - nel senso di preservazione delle strutture giuridiche della convivenza sociale, instaurate mediante le leggi, da ogni attentato a modificarle o a renderle inoperanti mediante l'uso o la minaccia illegale della forza - sia finalità immanente del sistema costituzionale». Nella seconda si assiste alla reinterpretazione del concetto, anche se contenuto nella legislazione precostituzionale (§ 3 del considerato in diritto della seconda delle due pronunce): «è ovvio che la locuzione "ordine pubblico" ricorrente in leggi anteriori al gennaio 1948 debba intendersi come ordine pubblico costituzionale (sentenza n. 19 dell'anno 1962) che deve essere assicurato appunto per consentire a tutti il godimento effettivo dei diritti inviolabili dell'uomo». Rileva come storicamente la nozione di ordine pubblico abbia rivelato una debolezza concettuale cronica, che l’ha predisposta a mistificare finalità pubbliche eminentemente preventive, INSOLERA, Gaetano. Sicurezza e ordine pubblico. In: DONINI, Massimo; PAVARINI, Massimo (a cura di). Sicurezza e diritto penale. Bologna: Bononia University Press, 2011, p. 202 s.
[8] Sull’evoluzione normativa riguardante questa misura e sui profili di criticità riferibili alla sua compatibilità con la Costituzione, soprattutto, ma non solo, per i profili procedimentali, PAVICH, Giuseppe; BONOMI, Andrea. Daspo e problemi di costituzionalità. Disponibile in: www.penalecontemporaneo.it, 25.5.2015; in argomento anche CURI, Francesca. Prevenzione “intelligente”: “l’arma” che colpisce solo obiettivi pericolosi. Tra vacuità simbolica e azzeramento delle politiche sociali e VALENTINI Elena. D.a.spo. e obbligo di firma: si acuiscono le perplessità di ordine costituzionale, entrambe in: CURI, Francesca (a cura di). Ordine pubblico e sicurezza nel governo della città, Bologna: Bononia University Press, 2016, rispettivamente 63 ss. e 81 ss.
[9] Il concetto di ‘sicurezza urbana’ appare una sorta di neologismo giuridico, di evoluzione municipale dello statualistico ordine pubblico, e viene così definito dall’art. 4 del d.l. 14/2017: «ai fini del presente decreto, si intende per sicurezza urbana il bene pubblico che afferisce alla vivibilità e al decoro delle città, da perseguire anche attraverso interventi di riqualificazione, anche urbanistica, sociale e culturale, e recupero delle aree o dei siti degradati, l'eliminazione dei fattori di marginalità e di esclusione sociale, la prevenzione della criminalità, in particolare di tipo predatorio, la promozione della cultura del rispetto della legalità e l'affermazione di più elevati livelli di coesione sociale e convivenza civile, cui concorrono prioritariamente, anche con interventi integrati, lo Stato, le Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali, nel rispetto delle rispettive competenze e funzioni».
[10] Sull’introduzione della fattispecie di cui all’art. 4 lett. i bis si veda MAIELLO, Vincenzo. La corruzione nel prisma della prevenzione ante delictum. Disponibile in: www.discrimen.it, 4.12.2018.
[11] In particolare, l’art. 3 co. 1 dispone: «Nei casi in cui alle forze dell'ordine sia segnalato, in forma non anonima, un fatto che debba ritenersi riconducibile ai reati di cui agli articoli 581, nonché 582, secondo comma, consumato o tentato, del codice penale, nell'ambito di violenza domestica, il questore, anche in assenza di querela, può procedere, assunte le informazioni necessarie da parte degli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, all'ammonimento dell'autore del fatto. Ai fini del presente articolo si intendono per violenza domestica uno o più atti, gravi ovvero non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra persone legate, attualmente o in passato, da un vincolo di matrimonio o da una relazione affettiva, indipendentemente dal fatto che l'autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima».
[12] Sull’aumento applicativo delle misure di prevenzione si soffermano, chiedendosi se si tratti di un fenomeno transitorio o strutturale, FIORE Carlo; FIORE Stefano. Diritto penale, Torino: UTET, 2016, p. 765; sulla espansione progressiva del sistema della prevenzione in epoca repubblicana si vedano, tra gli altri, FIANDACA, Giovanni; MUSCO, Enzo. Diritto penale. Parte generale, Bologna: Zanichelli, 2019, p. 921 ss. Di larga applicazione delle misure di prevenzione personali, a dispetto di una attenzione inesistente da parte della manualistica penale, parla VIGANò, Francesco. La neutralizzazione del delinquente pericoloso nell’ordinamento italiano. In: PAVARINI Massimo; STORTONI Luigi (a cura di). Pericolosità e giustizia penale. Bologna: Bononia University Press, 2013, p. 61. Di recente, sull’incessante espansione del sistema di prevenzione anche MAZZACUVA, Francesco. La prevenzione sostenibile. Cassazione penale, Milano, 2018, p. 1019. In una carrellata lungo i recenti tracciati della prevenzione personale è d’obbligo una menzione per il tentativo del legislatore, poi abortito in conseguenza della sentenza della Corte costituzionale n. 94/2016, di introdurre un nuovo art. 75 bis nel d.P.R. 9.10.1990 n. 309, estendendo le misure di prevenzione ai tossicodipendenti che avessero commesso illeciti amministrativi in materia di stupefacenti ai sensi dell’art. 75 del medesimo d.P.R., qualora ne potesse derivare pericolo per la sicurezza pubblica e la cui violazione integrava un illecito contravvenzionale. La Corte ne ha sancito l’illegittimità in considerazione del deficit di omogeneità e di funzionalità tra decreto-legge e legge di conversione. Si trattava precisamente dell’art. 4 quater del d.l. 30.12.2005 n. 272, come convertito dall’art. 1 co. 1 della l. 21.2.06 n. 49.
[13] Naturalmente il provvedimento del 2011 non ha nulla di un codice in senso tecnico, come evidenziato criticamente MANGIONE, Angelo. Le misure di prevenzione. In: CADOPPI, Alberto; CANESTRARI, Stefano; MANNA, Adelmo; PAPA, Michele (a cura di), Trattato di diritto penale. Parte generale, III. Torino: UTET, 2014, p. 443 ss. La l. n. 1423/1956 è stata abrogata definitivamente dal d. lgs. 159/2011, il cui art. 116 prescrive che ogni riferimento alla l. n. 1423 vada inteso come operato al decreto del 2011.
[14] La Corte costituzionale, nella sentenza n. 177/1980 (C. cost., 16.12.1980 n. 177, in Giurisprudenza costituzionale, 1980, 153 ss. con nota di M. BRANCA, In tema di fattispecie penale e riserva di legge), ha parlato a proposito di misure di prevenzione e misure di sicurezza come di due species del medesimo genus. La somiglianza è ribadita più di recente dalla sentenza n. 291/2013. Sulla stretta comunanza funzionale delle due tipologie di misure, pur se diverse per evoluzione storica e tasso di garanzia, PULITANò, Domenico. Misure di prevenzione e problema della prevenzione. Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 2017, p. 641. Di recente la dottrina ha evidenziato che rispetto alle misure di prevenzione si è realizzata una truffa delle etichette, trattandosi sostanzialmente di misure di sicurezza (almeno dopo il 2011), si veda DONINI, Massimo. Septies in idem. Dalla “materia penale” alla proporzione delle pene multiple nei modelli italiano ed europeo. Cassazione penale, Milano, 2018, p. 2288. Per MANNA, Adelmo. Natura giuridica delle misure di prevenzione: legislazione, giurisprudenza dottrina. Archivio Penale, Pisa, 2018, 3, p. 17 s., sarebbe necessario, de iure condendo, ricondurre le misure di prevenzione nell’ambito penalistico convertendole in misure di sicurezza; a questo scopo occorrerebbe procedere ad una loro trasformazione strutturale, collegandole cioè formalmente ad un fatto di reato. Di recente si è avanzata la proposta di rileggere la valutazione di pericolosità nell’ottica della disciplina dei presupposti di applicazione delle misure cautelari, in particolare del giudizio di cui all’art. 274 lett. c, trattandosi anche in quest’ultimo caso di una prognosi desunta dalla combinazione di situazioni incerte, proprio come accade nel procedimento di prevenzione, v. FURFARO, Sandro. Per una definizione normativa di pericolosità sociale nel Codice delle misure di prevenzione. Archivio penale, Pisa, 2017, 3, p. 1079 ss.
[15] L’afflittività delle misure di prevenzione è notata già da ELIA, Leopoldo. Libertà personale e misure di prevenzione. Milano: Giuffré, 1962, p. 21; AMATO, Giuliano, Commento all’art. 13, Bologna-Roma: Zanichelli-Il foro italiano, 1977, p. 49 benché la Corte costituzionale, con la sentenza n. 68/1964, abbia escluso dal novero delle sanzioni le misure di prevenzione.
[16] Lo segnala anche, tra gli altri e di recente, PELISSERO, Marco. I destinatari della prevenzione praeter delictum: la pericolosità da prevenire e la pericolosità da punire. Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 2017, p. 440. Già in precedenza rilevava come le conseguenze penali della violazione di una qualunque delle prescrizioni imposte celebrassero la liturgia della morte civile del prevenuto, BRICOLA, Franco. Forme di tutela «ante delictum» e profili costituzionali della prevenzione. In: Scritti di diritto penale, vol. I, Tomo II, Milano, 1997, 920.
[17] CATENACCI, Mauro. Le misure personali di prevenzione fra ‘critica’ e ‘progetto’: per un recupero dell’originaria finalità preventiva. Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 2017, p. 533, che parla di logica ciecamente punitiva.
[18] Come rilevato da PULITANò, Domenico, Misure di prevenzione e problema della prevenzione. Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 2017, p. 648 s. Sia detto per inciso che quest’ultima disposizione pone inevitabilmente un problema di uguaglianza di trattamento, poiché lo status dell’agente non incide sulle componenti oggettive o soggettive del reato commesso, aumentandone il disvalore. Dovrebbe dunque applicarsi il medesimo principio di diritto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 249/2010 (che censurò l’aggravante introdotta nel codice penale all’art. 61 n. 11 bis in quanto irragionevolmente basata sulla mera condizione di soggetto che si trovi illegalmente sul territorio nazionale in capo all’autore del reato), benché già in due occasioni (sentenze nn. 161/2009 e 282/2010) la questione sia stata superata di slancio in relazione alle misure di prevenzione.
[19] In questi termini MASERA, Luca. La nozione costituzionale di materia penale. Torino: Giappichelli, 2018, p. 214.
[20] Sul punto, rilevano come le misure di prevenzione, fondandosi su comportamenti costituenti reato, anche se non accertati, perseguano una finalità punitiva piuttosto che preventiva, integrando una forma di controllo sociale repressivo, FIORE Carlo; FIORE Stefano. Diritto penale. Torino: UTET, 2016, p. 762; MANTOVANI, Ferrando. Diritto penale. Padova: CEDAM, 2017, p. 862.
[21] In argomento, fondamentali i recenti contributi di MAZZACUVA, Francesco. Le pene nascoste. Topografia delle sanzioni punitive e modulazione dello statuto garantistico. Torino: Giappichelli, 2017, p. 26 ss. (ora disponibile in www.discrimen.it, sezione “Libri”), e di MASERA, Luca. La nozione costituzionale di materia penale. Torino: Giappichelli, 2018, p. 212.
[22] Come rilevato, dopo la sentenza De Tommaso da PALAZZO, Francesco. Per un ripensamento radicale del sistema di prevenzione ante delictum. Criminalia, Pisa, 2017, 141 s.
[23] Per quanto attiene invece al ne bis in idem processuale, la Cassazione ha di recente avuto modo di precisare che il principio è applicabile anche nel procedimento di prevenzione, ma la preclusione del giudicato opera rebus sic stantibus e, pertanto, non impedisce la rivalutazione della pericolosità ai fini dell’applicazione di una nuova o più grave misura, se vengono acquisiti ulteriori elementi - non valutati - che comportino un giudizio di maggiore gravità della pericolosità stessa e di inadeguatezza delle misure precedentemente adottate, cfr. Cass. 19.4.2016, dep. 8.6.2016, in Archivio penale web, 2016, p. 1 ss. con nota di S. SEGALINA, Il principio del ne bis in idem nel procedimento di prevenzione.
[24] Negano l’appartenenza alla materia penale della misura della sorveglianza speciale le già citate C. eur., Guzzardi vs Italia, cit., § 108; C. eur., Raimondo vs Italia, cit., § 43; C. eur., De Tommaso vs Italia, cit., § 143, nonché, in materia di confisca, richiamando le sentenze Raimondo e Guzzardi, C. eur., 28.10.2004, Bocellari e Rizza vs Italia (dec.), secondo la quale «Dès lors, la procédure y relative ne porte pas sur le ‘bien-fondé’ d'une ‘accusation en matière pénale’ (arrêt Raimondo, précité, p. 20, § 43, et Guzzardi, précité, p. 40, § 108). Les deuxième et troisième paragraphes de l'article 6, qui garantissent respectivement le principe de la présomption d'innocence et les droits des personnes accusées, ne trouvent donc pas à s'appliquer en l’espèce». Analogamente, valutando la compatibilità di una misura in tutto e per tutto simile al nostro d.a.spo. adottata nell’ordinamento croato (l’analogia strutturale è stata rilevata dagli stessi Giudici), la Corte ha ritenuto che non costituisse una sanzione penale, per l’eminente connotazione preventiva che la caratterizza, cfr. GALLUCCIO, Alessandra. La Corte EDU esclude la natura penale del DASPO e, conseguentemente, la violazione del principio 'ne bis in idem' in caso di misura disposta per fatti oggetto di una condanna penale. Disponibile in: www.penalecontemporaneo.it, 13.11.2018. In dottrina, di recente, MANES, Vittorio. Profili e confini dell’illecito para-penale. Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 2017, p. 988 ss. ha sostenuto che le misure di prevenzione non apparterrebbero al nucleo duro del sistema afflittivo, né a quello semiduro delle misure punitive non formalmente penali, ma riconducibili alla materia penale convenzionale, bensì al cerchio delle misure afflittive non punitive, che devono rispettare le garanzie volte a tutelare lo specifico diritto che di volta in volta venga in considerazione. Sul rapporto tra legalità formale nazionale e nozione sostanziale convenzionale si veda anche VIGANò, Francesco. Il nullum crimen conteso: legalità 'costituzionale' vs. legalità 'convenzionale'?. Disponibile in: www.penalecontemporaneo.it, 5.4.2017.
[25] La distinzione tra la misura afflittiva che attinge la libertà personale e quella che limita la libertà di circolazione passa, secondo la sentenza Gillan and Quinton vs U.K., attraverso un’attenta analisi della concreta situazione alla luce di una serie di criteri, tra cui tipo, durata, effetti e modalità di attuazione della misura fisica, poiché la differenza tra restrizione e privazione della libertà non è solo una questione di grado e intensità, né, al contempo, esclusivamente di natura e sostanza, cfr. C. eur., 15.3.2012, Gillian and Quinton vs U.K., § 56.
[26] C. eur., 6.11.1980, Guzzardi vs Italia, in FI 1981, IV, co. 1.
[27] Sul punto, VIGANò, Francesco. Art. 2 Prot. 4. In: UBERTIS, Giulio; VIGANò, Francesco (a cura di). Corte di Strasburgo e giustizia penale. Torino: Giappichelli, 2016, p. 356. Secondo DOLSO, Gian Paolo. Le misure di prevenzione personali nell’ordinamento costituzionale. In: FIORENTIN, Fabio (a cura di). Misure di prevenzione personali e patrimoniali. Torino: Giappichelli, 2018, p. 137, la più frequente riconduzione delle misure di prevenzione all’art. 2 Prot. IV che non all’art. 5 Convenzione dipende forse dal fatto che quest’ultima non prevede la possibilità di applicare restrizioni in funzione della prevenzione di reati.
[28] Elaborati nella celebre C. eur Plenaria, 8.6.1976, Engel et al. vs Paesi Bassi: si tratta della qualificazione formale nell’ordinamento di appartenenza, della natura dell’illecito e del grado di severità della sanzione. Da ultimo, sul rapporto tra ne bis in idem e perimetro della materia penale, anche alla luce del dialogo tra le Corti, MAZZACUVA, Francesco. Le pene nascoste. Topografia delle sanzioni punitive e modulazione dello statuto garantistico. Torino: Giappichelli, 2017, p. 287 ss. Si impone però un caveat: il ne bis in idem nell’accezione ‘convenzionale’ è modulato sul ‘fatto concreto’ e non sulle relazioni logico-strutturali tra fattispecie astratte. Sicché non si può escludere oggi che domani un’ipotesi specifica in cui si verifica la congiunzione di misura di prevenzione e pena possa integrare una violazione dell’art. 4 del Prot. VII Cedu. Nello stesso senso, MAIELLO, Vincenzo. Profili sostanziali: le misure di prevenzione personali. Giurisprudenza italiana, Milano, 2015, p. 1528.
[29] Si veda sul punto BIGNAMI, Marco. La Corte Edu e le leggi retroattive. Questione Giustizia, 13.9.2017, anche per le notazioni in ordine alle diverse accezioni della retroattività che il diritto interno e quello convenzionale offrono all’interprete; in prospettiva ordinamentale si rimanda ai vari scritti contenuti in: PADULA, Carlo (a cura di). Le leggi retroattive dei diversi rami dell'ordinamento. Napoli: Editoriale scientifica, 2018, passim e in particolare il contributo di PUGIOTTO, Andrea. Il principio d’irretroattività preso sul serio. Quaderni costituzionali, Bologna, 2017, 2, p. 18 ss., ad avviso del quale il principio d’irretroattività sancito dall’art. 11 delle preleggi rappresenterebbe, almeno in origine, una previsione materialmente costituzionale, perché strettamente saldata alle fondamenta dello Stato di diritto.
[30] Definita una pronuncia para-costituzionale da MAIELLO, Vincenzo. De Tommaso c. Italia e la cattiva coscienza delle misure di prevenzione. Diritto penale e processo, Milano, 2017, p. 1042.
[31] Si veda Cass. 29.1.2014, dep. 7.3.2014, ord. n. 11217, in CEDCass m. 264477, secondo cui è penalmente sanzionato ai sensi dell’art. 75 co. 2 qualunque tipo di inosservanza degli obblighi o delle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con divieto o obbligo di soggiorno.
[32] Così Cass. S.U. 29.5.2014, dep. 24.7.2014, n. 32923 in Cassazione penale, 2015, p. 4365, con nota di R. CAPPITELLI. Limiti applicativi dell'art. 75 D.Lgs. n. 159/2011 nella giurisprudenza delle Sezioni Penali della Suprema Corte. Secondo la sentenza «In tema di misure di prevenzione, la condotta del soggetto, sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, che ometta di portare con sé e di esibire, agli agenti che ne facciano richiesta, la carta di permanenza di cui all'art. 5, ultimo comma, della legge n. 1423 del 1956 (attualmente art. 8 D.Lgs. n. 159 del 2011), integra la contravvenzione prevista dall'art. 650 cod. pen. - e non il delitto di cui all'art. 9, comma secondo, della legge n. 1423 del 1956 (attualmente art. 75, comma secondo, D.Lgs. n. 159 del 2011 - perché costituisce inosservanza di un provvedimento della competente autorità per ragioni di sicurezza e di ordine pubblico, preordinato soltanto a rendere più agevole l'operato delle forze di polizia».
[33] Le prescrizioni sono ora presenti all’art. 8 co. 4 d. lgs. 159/2011, ad eccezione della parte relativa al ‘dare ragioni di sospetto’.
[34] Di recente, sulle geometrie variabili delle tutele penalistiche, in funzione della ratio di garanzia che le anima e sulla base della constatazione che molte di esse sono principi che attengono, in generale, alla legittimazione e giustificazione delle scelte punitive, MAZZACUVA, Francesco. Le pene nascoste. Topografia delle sanzioni punitive e modulazione dello statuto garantistico. Torino: Giappichelli, 2017, pp. 55 ss., 253 ss., 264 ss. Un ragionamento in parte anticipato dalla Corte costituzionale (si vedano C. cost, 9.6.88, ord. 721; C. cost, 30.9.96 n. 335), che ha constatato come la giurisdizione preventiva sia quanto meno da ritenersi limitativa di diritti, il che impone di applicare le tutele tipiche del sistema sanzionatorio, idonee a contenere misure che delimitano il godimento di diritti della persona costituzionalmente garantiti o ad incidere pesantemente e in via definitiva sulla proprietà (si veda anche C. cost., 8.3.2010 n. 93).
[35] Cass. S.U. 27.4.2017, dep. 5.9.2017, n. 40076, in www.penalecontemporaneo.it, 13.9.2017, con nota di F. VIGANò. Le Sezioni Unite ridisegnano i confini del delitto di violazione delle prescrizioni inerenti alla misura di prevenzione alla luce della sentenza De Tommaso: un rimarchevole esempio di interpretazione conforme alla Cedu di una fattispecie di reato. Ci sia consentito rinviare qui al nostro Le misure di prevenzione tra Costituzione e Convenzione. Legislazione penale, 19.3.2019, per una compiuta considerazione delle prese di posizione da parte della Cassazione e dei giudici di merito.
[36] Per un primo commento si veda FINOCCHIARO, Stefano. Due pronunce della Corte costituzionale in tema di principio di legalità e misure di prevenzione a seguito della sentenza De Tommaso della Corte edu. Disponibile: in www.penalecontemporaneo.it, 4.3.2019.
[37] Si ricordi che l’illegittimità dell’art. 1 l. 1423/1956 (poi art. 1, lett. a d. lgs. 159/2011) è stata dichiarata nella parte in cui consente l’applicazione della misura della sorveglianza speciale ai soggetti ivi indicati.
[38] Che sia questo l’elemento di novità delle due sentenze è colto già da CERFEDA, Marco. La prevedibilità ai confini della materia penale: la sentenza n. 24/2919 della Corte costituzionale e la sorte delle “misure di polizia”. Archivio penale, Pisa, 2019, 2, p. 4. Sul punto si vedano anche le notazioni di DE LIA, Andrea. Misure di prevenzione e pericolosità generica: mote e trasfigurazione di un microsistema. Brevi note a margine della sentenza della Corte costituzionale n. 24/2019. Legislazione penale, 15.7.2019, p. 8. Sul principio di prevedibilità, si veda VIGANò, Francesco. Il principio di prevedibilità della decisione giudiziale in materia penale. Disponibile in: www.penalecontemporaneo.it, 19.12.2016.
[39] Peraltro – anche alla luce della pluralità di indici che emergono in sede convenzionale (principalmente dalla sintesi tra le sentenze Öztürk e Welch) accanto a quello della finalità della misura, ovvero l’argomento comparatistico, il collegamento con un procedimento penale, l’applicabilità a tutti cittadini della disciplina – varrebbe la medesima conclusione. Si vedano su questi parametri accessori al criterio teleologico C. eur GC, 21.2.1984, Öztürk vs Germany, C. eur, 9.2.1995, Welch vs U.K. In dottrina, ritiene invece che si tratti di sanzioni criminali di genere anomalo FIANDACA, Giovanni. Misure di prevenzione (profili sostanziali). In Digesto discipline penalistiche, VIII, Torino, 1994, p. 116.
[40] In questo senso la nota posizione di ELIA, Leopoldo. Libertà personale e misure di prevenzione. Milano: Giuffré, 1962, p. 23 ss.
[41] AMATO, Giuliano, Commento all’art. 13, Bologna-Roma: Zanichelli-Il foro italiano, 1977, p. 49, individua la copertura costituzionale delle misure di prevenzione nell’art. 25.
[42] Così BALBI, Giuliano. Le misure di prevenzione personali. Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 2017, p. 524, che rileva, dunque, che la giurisdizionalizzazione delle misure sia sostanzialmente un involucro vuoto.
[43] C. eur., 22.2.1994, Raimondo vs Italia, in CP 1994, 2252; C. eur., 5.1.2000, Bongiorno vs. Italia; con riferimento ad ordinamenti di altri Stati cfr. C. eur., 14.9.2000, Sanoma Uitgevers B.V. vs Paesi Bassi.
[44] Segnala come la Corte costituzionale non abbia mai messo in dubbio la compatibilità con la Costituzione di siffatte misure anche BALBI, Giuliano. Le misure di prevenzione personali. Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 2017, p. 511.
[45] Si veda, per prima, C. cost., 4.5.2009 n. 129 e, da ultima, C. cost., 23.2.2016 n. 63; in dottrina BONETTI, Paolo. Ordine pubblico, sicurezza, polizia locale e immigrazione nel nuovo art. 117 della Costituzione. Le Regioni, Bologna, 2002, p. 483 ss.
[46] Si veda C. cost., 1.10.2003 n. 309, in Giurisprudenza costituzionale, 2003, 3960 ss., con nota di B. VALENSISE, La misura di prevenzione dell’obbligo di soggiorno in un determinato comune e il diritto a professare il proprio culto: un’armonia impossibile?
[47] Si tratta, notoriamente, di garanzie che possono anche essere sviluppate come due differenti declinazioni della legalità, da una parte il principio di precisione, dall’altra parte quello di determinatezza, accanto alle quali si pone poi la tassatività, intesa come divieto di analogia. Paradigmaticamente MARINUCCI, Giorgio; DOLCINI, Emilio; GATTA, Gian Luigi. Manuale di diritto penale. Milano: Giuffré, 2018, p. 69 ss. Sulla polisemia del termine nella dottrina penalistica si veda, di recente, NISCO, Attilio. Principio di determinatezza e interpretazione in diritto penale: considerazioni teoriche e spunti comparatistici. Archivio penale web, 2017, 4, p. 4.
[48] Cass. 19.4.2018, dep. 3.10.2018, n. 43826, cit., § 2.2 del considerato in diritto.
[49] Per una panoramica di questa giurisprudenza, BASILE, Fabio. Tassatività delle norme ricognitive della pericolosità nelle misure di prevenzione: Strasburgo chiama, Roma risponde. Disponibile in: www.penalecontemporaneo.it, 20.7.2018, 6 ss., che ritiene che tale interpretazione sia probabilmente in grado di sottrarre la disciplina delle misure di prevenzione, quanto meno con riferimento a questo aspetto, a possibili censure di legittimità costituzionali, anche se naturalmente non è in grado di eliminare tutti i vizi della normativa in analisi.
[50] Cass. 11.2.2014, dep. 5.6.2014, n. 23641, in CEDCass m. 260104. Con riferimento alla giurisprudenza costituzionale non si può non citare la sentenza n. 24/2019 che ha ritenuto imprecisa la previsione di cui all’art. 1 n. 1 della l. 1423/1956 poi confluita nell’art. 1, lett. a d. lgs. 159/2011.
[51] In questo senso, pur se riferite alla confisca, ma comunque rilevanti in quanto attinenti al presupposto della pericolosità del prevenuto, rilevano Cass. 3.6.2015, dep. 8.9.2015, n. 36301, in CEDCass m. 264568, nonché Cass. 24.3.2015, dep. 17.7.2015, n. 31209, in CEDCass m. 264319; più di recente Cass. 19.1.2018, dep. 15.3.2018, n. 11846, in CEDCass m. 272496.
[52] Sul punto si vedano le riflessioni di NUVOLONE, Pietro. Misure di prevenzione e misure di sicurezza (voce). In Enciclopedia del diritto, XXVI, Milano, 1976, p. 632 ss., che inquadrava le misure di prevenzione nel sistema penale sulla base di una considerazione teleologica, tendendo esse a impedire la commissione del primo delitto o la recidiva; accomuna i fondamenti delle due misure anche GALLO, E. Misure di prevenzione (voce). Enciclopedia giuridica Treccani, XX, Roma 1990, p. 1.
[53] Sulla importanza della sentenza per l’innalzamento del tasso di garanzia del processo di prevenzione MAUGERI, Anna Maria. Dall’actio in rem alla responsabilità da reato delle persone giuridiche: un’unica strategia politico criminale contro l’infiltrazione criminale nell’economia?. In: FIANDACA, Giovanni; VISCONTI, Costantino (a cura di). Scenari di mafia, Torino: Giappichelli, 2010, p. 272 ss. La pronuncia del 1980 della Consulta non è stata certo di poco conto, poiché essa ha rappresentato il riferimento cui il legislatore del 1988, con la l. n. 327, ha guardato per ridisegnare le categorie dei possibili destinatari delle misure di prevenzione in chiave orientata al fatto e ad elementi empiricamente suscettibili di verifica da parte del giudice. Più di recente la Corte costituzionale (C. cost., 9.2.94 n. 321) ha sottolineato la non omogeneità tra il processo penale (e, all’interno di questo, del procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza) e quello di prevenzione, in quanto ognuno dotato di proprie peculiarità.
[54] La sentenza della Corte costituzionale n. 419/1994 afferma che questa comune sottoposizione all’art. 25 co. 3 derivi dalla medesimezza del fine (la prevenzione dei reati). Si legge in particolare al § 4.1. del considerato in diritto: «Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la legittimità costituzionale delle misure di prevenzione - in quanto limitative, a diversi gradi, della libertà personale - è necessariamente subordinata, innanzitutto, all'osservanza del principio di legalità, individuato nell'art. 13, secondo comma, della Costituzione, nonché nell'art. 25, terzo comma, della Carta medesima, nel quale, pur se riferito espressamente alle "misure di sicurezza", è stata solitamente rinvenuta la conferma di tale principio anche per la categoria delle misure di prevenzione, data l'identità del fine (prevenzione dei reati) perseguito da entrambe (ritenute due species di un unico genus), aventi a presupposto la pericolosità sociale dell'individuo».
[55] Riconosce come negli ultimi anni la giurisprudenza stia adottando un approccio ermeneutico volto a prevenire un’applicazione arbitraria delle misure BALBI, Giuliano. Le misure di prevenzione personali. Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 2017, p. 523. Al diritto vivente fa espressamente riferimento Cass. 15.6.2017, dep. 21.9.2017, n. 43446, in CEDCass m. 271220, in particolare al § 5.3 del considerato in diritto. Tale concetto è assai sfuggente, per definizione se ne discute in assenza di una legge, o quanto meno di una previsione normativa precisa e determinata; ne ha parlato per la prima volta la Corte costituzionale nella sentenza n. 276/1974, che lo intese infatti come il sistema giurisprudenziale formatosi in difetto di una espressa disposizione e, di fatto, solo in presenza di un orientamento consolidato nelle pronunce di legittimità. Sul punto SALVATO, Luigi. Profili del “diritto vivente” nella giurisprudenza di legittimità. Disponibile in: www.cortecostituzionale.it, 2.2015, che ricorda (11) come la Corte costituzionale abbia sempre attribuito a sé il potere-dovere di accertarne la ricorrenza negli indirizzi della Corte di Cassazione, in particolare con la sentenza n. 210/1992.
[56] Si veda C. cost., 7.5.1975 n. 113, § 2 del considerato in diritto, che ha affermato, richiamando la propria precedente giurisprudenza: «Per vero questa Corte ha già riconosciuto, in numerose decisioni, la piena compatibilità delle misure in esame con i principi stabiliti dagli artt. 3 e 13 della Costituzione (sent. numeri 23 e 68 del 1964 e n. 32 del 1969) ed ha precisato che l'autorità di p.s. non può agire a proprio arbitrio sulla base di semplici sospetti, poiché è richiesta dalla legge un'oggettiva valutazione di fatti, da cui risulti la condotta abituale e il tenore di vita della persona, che siano manifestazione concreta della sua proclività al delitto e siano state accertate in modo da escludere valutazioni puramente soggettive ed incontrollabili (sent. n. 23 del 1964)». In precedenza, si veda anche C. cost., 20.4.1959 n. 27.
[57] Così C. cost., 4.3.1964 n. 23, § 3 del considerato in diritto, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1965, 106 con nota di R.G. DE FRANCO, Riserva di legge e “determinatezza” delle previsioni di pericolosità sociale ex l. n. 1423 del 1956. Si noti che NUVOLONE, Pietro. Misure di prevenzione e misure di sicurezza (voce). In Enciclopedia del diritto, XXVI, Milano, 1976, p. 633 aveva avuto modo di manifestare tutti i propri dubbi sulla possibilità di determinare tassativamente i presupposti di queste misure da parte della fonte legislativa, essendo riferite a situazioni alquanto fluide e sintomatiche. Dubbi sulla vaghezza delle fattispecie di prevenzione sono espressi anche da MANGIONE, Angelo. Le misure di prevenzione. In: CADOPPI, Alberto; CANESTRARI, Stefano; MANNA, Adelmo; PAPA, Michele (a cura di), Trattato di diritto penale. Parte generale, III. Torino: UTET, 2014, p. 433.
[58] Davvero utili da questo punto di vista la giurisprudenza della Corte edu che, quando ha verificato che la misura di prevenzione fosse stata disposta sulla base di meri sospetti o irragionevoli presunzioni, ha sancito la violazione dell’art. 2 Prot. IV Convenzione edu, cfr. la pronuncia Labita vs Italia, 6.4.2000, § 196 ss., riferita ad un’ipotesi in cui la misura della sorveglianza speciale era stata applicata alla luce di un legame di parentela tra la moglie del ricorrente ed un appartenente ad una associazione mafiosa. In tema di confisca di prevenzione, C. eur., 17.6.2014, Cacucci e Sabatelli vs Italia, § 44, che ha stabilito che le misure non conseguono a semplici sospetti, bensì a fatti in senso stretto. Per una serie di critiche in questo senso si vedano, tra i molti e solo di recente, CERESA-GASTALDO, Massimo. Misure di prevenzione e pericolosità sociale: l’incolmabile deficit di legalità della giurisdizione senza fatto. Disponibile in: www.penalecontemporaneo.it, 3.12.2015; MAIELLO, Vincenzo. La prevenzione ante delictum: lineamenti generali. In PALAZZO Francesco; PALIERO, Carlo Enrico (diretto da). Trattato teorico pratico di diritto penale, XII. Torino: Giappichelli, 2015, p. 325; CATENACCI, Mauro. Le misure personali di prevenzione fra ‘critica’ e ‘progetto’: per un recupero dell’originaria finalità preventiva. Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 2017, p. 528. Si noti che nell’ambito della sentenza De Tommaso si può leggere l’opinione dissenziente del giudice Pinto de Albuquerque, secondo il quale le misure di prevenzione italiane integrerebbero delle ‘pene di seconda classe’ fondate sul sospetto (§ 4 della dissenting opinion).
[59] Per MAGI, Raffaello. Sul recupero di tassatività nelle misure di prevenzione personali. Tecniche sostenibili di accertamento della pericolosità. Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2017, p. 501, sul terreno dei presupposti e dell’accertamento della pericolosità si sarebbe giunti per via interpretativa ad un modello di giurisdizione piena, poggiante su una tassatività via via sempre più accresciuta in concreto. Nello stesso senso, BASILE, Fabio. Quale futuro per le misure di prevenzione dopo le sentenze De Tommaso e Paternò?. Giurisprudenza italiana, 2018, p. 460 s.
[60] CONSULICH, Federico. Lo statuto penale delle scriminanti, Torino: Giappichelli, 2018, p. 466 ss
[61] Si veda in particolare C. cost., 19.6.1956 n. 11 in tema di ammonizione, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni contenute negli articoli dal 164 al 176 del T.U.L.P.S.
[62] La notazione è di DOLSO, Gian Paolo. Le misure di prevenzione personali nell’ordinamento costituzionale. In: FIORENTIN, Fabio (a cura di). Misure di prevenzione personali e patrimoniali. Torino: Giappichelli, 2018, p. 69.
[63] Il punto è colto nitidamente in PALAZZO, Francesco. Il principio di determinatezza nel diritto penale. Padova: CEDAM, 1979, p. 132 s. Rileva come vadano tenuti distinti i due volti dello stesso principio, uno rivolto al giudice, la tassatività, uno al legislatore, la determinatezza, NISCO, Attilio. Principio di determinatezza e interpretazione in diritto penale: considerazioni teoriche e spunti comparatistici. Archivio penale web, 2017, 4, p. 19 ss.
[64] Si vedano le recenti riflessioni di CATENACCI, Mauro. Le misure personali di prevenzione fra ‘critica’ e ‘progetto’: per un recupero dell’originaria finalità preventiva. Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 2017, p. 526 ss. e di MAZZACUVA, Francesco. La prevenzione sostenibile. Cassazione penale, Milano, 2018, p. 1029.
[65] Cass. S.U. 26.6.2014, dep. 2.2.2015 n. 4880, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2015, p. 922, con nota di A.M. MAUGERI, Una parola definitiva sulla natura della confisca di prevenzione? Dalle Sezioni Unite Spinelli alla sentenza Gogitidze della Corte Edu sul civil forfeiture. Secondo la Corte, in particolare (§ 8.2 del considerato in diritto), «le modifiche introdotte nell'art. 2 bis della legge n. 575 del 1965, dalle leggi n. 125 del 2008 e n. 94 del 2009, non hanno modificato la natura preventiva della confisca emessa nell'ambito del procedimento di prevenzione, sicché rimane tuttora valida l'assimilazione dell'istituto alle misure di sicurezza e, dunque, l’applicabilità, in caso di successioni di leggi nel tempo, della previsione di cui all'art. 200 cod. pen.». In precedenza, si veda Cass. 14.5.2009, dep. 1.9.2009, n. 33597, in CEDCass m. 245251 e, in dottrina, GIUNTA, Fausto. Verso una nuova pericolosità sociale. In: PAVARINI Massimo; STORTONI Luigi (a cura di). Pericolosità e giustizia penale. Bologna: Bononia University Press, 2013, p. 89.
[66] Valgano le considerazioni spese da C. cost., 7.4.2004, ord. n. 124, chiamata a pronunciarsi a seguito della questione di legittimità rispetto all’art. 27 co. 3 Cost. dell’allora vigente art. 3 della l. 1423/1956, nella parte in cui consentiva l'applicazione della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza nei confronti di persona detenuta. Secondo la Corte «per quanto concerne la denunciata ‘afflizione aggiuntiva’ - in assunto connessa al cumulo fra pena e misura di prevenzione, segnatamente quando il reato per il quale è stata inflitta la pena assurga altresì ad elemento fondante la valutazione di pericolosità del soggetto proposto per tale misura - va rilevato come essa non implichi, di per sé, alcun vulnus al parametro costituzionale evocato, posto che la misura di prevenzione assolve ad una funzione chiaramente distinta e non assimilabile a quella della pena: la stessa Carta costituzionale, del resto - consentendo il sistema del ‘doppio binario’ tra pene e misure di sicurezza (art. 25, secondo e terzo comma, Cost.) - riconosce la possibilità del concorso fra due diversi strumenti di intervento, caratterizzati da fini eterogenei, pure in presenza di una medesima situazione di fatto (la commissione del reato come illecito, da sanzionare con la pena, e come indice di pericolosità sociale, da contrastare con la misura di sicurezza)».
[67] Al netto di una serie di dubbi sulla consistenza scientifica del concetto, così rileva BALBI, Giuliano. Le misure di prevenzione personali. Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 2017, p. 520. Sulle critiche in ordine alla scarsa base empirica della nozione, a dispetto dell’importanza rivestita nel sistema penale e parapenale, MAGI, Raffaello. Sul recupero di tassatività nelle misure di prevenzione personali. Tecniche sostenibili di accertamento della pericolosità. Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2017, p. 493 ss., che ritiene come la categoria giuridica della pericolosità sociale sia tuttavia irrinunciabile. Sulla necessaria attualità della pericolosità del proposto al momento della richiesta di applicazione della misura di prevenzione personale Cass., 5.6.2019, dep. 21.6.2019, n. 27724 in DirGiust., 24.6.2019.
[68] L’approccio è evidente fin dalla sentenza n. 23/1964 ed è stato ribadito più di recente dalla pronuncia n. 48/1994. L’estraneità delle misure in analisi al diritto penale è alla radice della giurisprudenza costituzionale che nega la presenza della colpevolezza nello scenario della prevenzione, come rilevato da BALBI, Giuliano. Le misure di prevenzione personali. Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 2017, p. 513.
[69] Si noti peraltro che, sul piano sovranazionale, la Corte Edu non ha ritenuto di per sé contraria alla Convenzione la presenza di presunzioni o inversioni dell’onere della prova (cfr. C. eur., 7.10.1988, Salabiaku vs. Francia, § 28). PITTARO, Paolo. La natura giuridica delle misure di prevenzione. In: FIORENTIN, Fabio (a cura di). Misure di prevenzione personali e patrimoniali. Torino: Giappichelli, 2018, p. 153, rileva come quello della prevenzione sia un sistema probatorio attenuato, se comparato con quello del sistema penale in senso stretto.
[70] La nozione di libertà personale di cui all’art. 13 Cost. viene intesa come libertà della persona in senso stretto, diritto che conduce direttamente all’habeas corpus, come segnalato dalla Corte costituzionale fin dalla sent. n. 45/1960, che rinvia alla n. 2 del 1956. In una successiva occasione, con la sentenza n. 68/1994, trattando della misura del foglio di via obbligatorio, la Corte ha rilevato che la degradazione giuridica del destinatario, che attiva la norma in analisi, deve intendersi come la menomazione o mortificazione della dignità o del prestigio del destinatario, tale da poter essere equiparata all’assoggettamento all’altrui potere. Naturalmente non è esente nella giurisprudenza della Corte anche una declinazione quantitativa della restrizione della libertà personale riconducibile al cono di tutela della disposizione costituzionale. Con la sentenza n. 13/1972, relativa alla misura dell’accompagnamento coattivo di pubblica sicurezza di cui all’art. 15 del T.U.L.P.S., la Corte ha affermato come la limitazione della libertà non era tale da richiedere le garanzie della previsione costituzionale in quanto l’immobilizzazione del soggetto per effettuare i rilievi dattiloscopici era momentanea. Allo stesso modo, più di recente (C. cost., 19.5.1997 n. 144), la Corte costituzionale ha ritenuto che l’ordine di presentazione agli uffici di polizia durante una competizione sportiva non richiedesse la convalida di cui alle norme del codice di procedura penale, poiché l’incisione della libertà personale, pur esistente, era da ritenersi modesta.
[71] Si deve tenere però naturalmente conto di quanto correttamente la dottrina ha da tempo avuto premura di precisare, vale a dire che non ogni ipotesi di coazione fisica deve essere semplicisticamente ricondotta all’art. 13, soprattutto allorquando sia giustificata da ragioni oggettive e non squalificanti, come accade ad esempio in materia di igiene e salute pubblica. Si legga MORTATI, Costantino. Rimpatrio obbligatorio e Costituzione. Giurisprudenza Costituzionale, Milano, 1960, p. 683. Per AMATO, Giuliano, Commento all’art. 13, Bologna-Roma: Zanichelli-Il foro italiano, 1977, p. 47 s., invece, il rispetto della procedura indicata dall’art. 13 Cost. sarebbe imposto in materia di misure di prevenzione non perché esse incidano sempre sulla libertà personale, ma perché presuppongono un giudizio di carattere degradante sulla persona.
72] Ricorda di recente come sospetti di illegittimità costituzionale abbiano sempre aleggiato sulla valutazione di pericolosità del soggetto proposto per l’applicazione delle misure MAZZACUVA, Francesco. La prevenzione sostenibile. Cassazione penale, Milano, 2018, p. 1022. Nota l’evoluzione della percezione della cultura penalistica rispetto a siffatte misure, dalla diffidenza rispetto alla loro funzione alla critica rispetto ad aspetti esteriori della loro legalità, PALAZZO, Francesco. Per un ripensamento radicale del sistema di prevenzione ante delictum. Criminalia, Pisa, 2017, p. 140.
[73] Nella ricerca empirica condotta da MARIANI, Elena. Le misure di prevenzione personali nella prassi milanese. Diritto penale contemporaneo, 2018, 10, p. 307, territorialmente ristretta al distretto della Corte di Appello di Milano, è emersa chiaramente l’inadeguatezza dell’attuale sistema della prevenzione personale. Rileva infatti l’Autore: «L’inefficacia dell’attuale normativa, che comporta la necessità di un suo radicale ripensamento, sembra confermata anche dal fatto che ben 422 soggetti dei 732 che sono arrivati all’attenzione del Tribunale nel periodo esaminato erano già stati sottoposti ad una o più misure di prevenzione tipiche e/o atipiche. Solamente per 46 di essi vi è stato il rigetto della proposta e non è stata applicata o aggravata o reiterata la sorveglianza speciale sul presupposto che non fossero più meritevoli di una misura di prevenzione, mentre per gli altri 376 i giudici hanno ritenuto che la pericolosità sociale sussistesse ancora. Nella grande maggioranza dei casi (89,1%), quindi, vi è stato il fallimento del precedente intervento preventivo».
[74] È la nota C. eur. G.C., 23.2.2017, De Tommaso vs Italia, in www.penalecontemporaneo.it, con note di F. VIGANò, La Corte di Strasburgo assesta un duro colpo alla disciplina italiana delle misure di prevenzione personale, 3.3.2017, e MAUGERI, Anna Maria, Misure di prevenzione e fattispecie di pericolosità generica: la Corte Europea condanna l’Italia per la mancanza di qualità delle “legge”, ma una rondine non fa primavera, 6.3.2017; si veda anche quella di MAIELLO, Vincenzo. De Tommaso c. Italia e la cattiva coscienza delle misure di prevenzione. Diritto penale e processo, Milano, 2017, p. 1039. Si legge al § 69 della sentenza: «according to the information available to the Court on the legislation of thirty-four member States, the vast majority of the countries surveyed (twenty-nine countries out of thirty-four) do not have any measures comparable to those applied in Italy in the present case. Measures of this kind can be found in only five countries (Austria, France, Russia, Switzerland and the United Kingdom)».
[75] Per un’analisi critica dei profili processuali delle misure di prevenzione, si veda da ultimo ORLANDI, Renzo. La ‘Fattispecie di pericolosità’. Presupposti di applicazione delle misure e tipologie soggettive nella prospettiva processuale. Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 2017, p. 470 ss.
[76] Il decreto, all’art. 10, comma 1, lett. c), modificava l’art. 2 bis della l. n. 575/1975 e consentiva che le due tipologie di misure potessero essere richieste e applicate disgiuntamente e che altresì la loro applicazione avesse luogo anche in caso di morte del soggetto (con prosecuzione del procedimento nei confronti degli eredi o comunque aventi causa, nell’ipotesi in cui la morte fosse sopraggiunta nel corso del procedimento).
[77] La l. n. 94/2009 ha modificato, con l’art. 2, comma 22, l’art. 10, comma 1, lettera c), numero 2), del d.l. 92/2008, chiarendo che le misure in questione potessero essere applicate indipendentemente dalla pericolosità sociale del proposto al momento della richiesta.
[78] In base all’art. 18 co. 1 del d. lgs. 159/2011, le misure patrimoniali prescindono dalla pericolosità sociale del proposto. Sull’applicazione disgiunta delle misure di prevenzione si era espressa anche la Corte costituzionale, che l’aveva ritenuta impossibile in assenza di una scelta di politica criminale in tal senso da parte del legislatore. Sul punto si vedano FIANDACA, Giovanni; MUSCO, Enzo. Diritto penale. Parte generale, Bologna: Zanichelli, 2019, p. 921 ss. Sul punto cfr. poi Cass. S.U. 26.6.2014, dep. 2.2.2015, n. 4880, (Rv. 262604), in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2015, p. 922, secondo la quale «La possibilità di applicazione disgiunta della confisca dalla misura di prevenzione personale, così come emerge dalle riforme normative operate dalla l. 24.7.2008 n. 125 e dalla l. 15.7.2009 n. 94, non ha introdotto nel nostro ordinamento una "actio in rem", restando presupposto ineludibile di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale la pericolosità del soggetto inciso, in particolare la circostanza che questi fosse tale al momento dell'acquisto del bene».
[79] Di “diritto penale al limite” ha parlato PELISSERO, Marco. Contrasto al terrorismo internazionale e diritto penale al limite. Questione giustizia, 2016, p. 99 ss.
[80] Nello stesso senso PETRINI, Davide. La prevenzione inutile. Illegittimità delle misure praeter delictum. Napoli: Jovene, 1996, p. 175; PULITANò, Domenico. Misure di prevenzione e problema della prevenzione. Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 2017, p. 639.
[81] Come notato da PELISSERO, Marco. I destinatari della prevenzione praeter delictum: la pericolosità da prevenire e la pericolosità da punire. Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 2017, p. 463.
[82] Sulle molteplici accezioni della sicurezza, declinabili ora in senso liberale ora nel ben più problematico senso securitario, PULITANò, Domenico. Sicurezza e diritto penale. In: DONINI, Massimo; PAVARINI, Massimo (a cura di). Sicurezza e diritto penale. Bologna: Bononia University Press, 2011, p. 121 ss. Sulla tendenza ad obbligare il diritto penale a produrre sicurezza per i cittadini ed il conseguente possibile conflitto con i diritti costituzionali HASSEMER, Winfried. Libertà e sicurezza alla luce della politica criminale. In: DONINI, Massimo; PAVARINI, Massimo (a cura di). Sicurezza e diritto penale. Bologna: Bononia University Press, 2011, p. 59 ss.
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