Artigos
La sanzione senza precetto. Verso un congedo delle misure di prevenzione dalla materia penale?[1]
A sanção sem preceito. Rumo a uma licença de medidas de prevenção de questões criminais?
The sanction without precept. Towards a leave of prevention measures from criminal matters?
La sanzione senza precetto. Verso un congedo delle misure di prevenzione dalla materia penale?[1]
Revista Brasileira de Ciências Policiais, vol. 14, núm. 11, 2023
Academia Nacional de Polícia
Recepción: 21 Octubre 2022
Aprobación: 21 Octubre 2022
Sommario: Le misure di prevenzione personali veicolano seri rischi di lesione dei diritti dei cittadini. In particolare, il giudizio di pericolosità, su cui si fondano, difetta di determinatezza tanto nella base quanto nel metro di valutazione, rappresentando così un punto di crisi della disciplina italiana rispetto alle garanzie costituzionali e a quelle della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Nella costruzione di uno statuto costituzionale e convenzionale della prevenzione, occorre guardarsi dal ricavare per analogia una serie di tutele previste in campo penale, edificando invece un autonomo corredo di garanzie, in ragione della peculiare conformazione di tali misure, in primis l’assenza di un illecito del destinatario quale loro presupposto. È dunque giunto il tempo di abbandonare il tentativo di riproporre, in questo settore, simmetrie astratte con il diritto penale: troppo facile per il legislatore aggirare il problema di una sanzione senza delitto con qualificazioni formali di facciata e troppo distante la struttura della fattispecie di prevenzione da quella di un’incriminazione, come ciricorda anche la giurisprudenza convenzionale. Meglio piuttosto aggiornare i lineamenti dell’habeas corpus affinché sia in grado di contrastare i molteplici meccanismi abusivi con cui la libertà personale viene oggi compressa, a volte prima della, a volte a prescindere dalla commissione di un reato.
Parole: diritto penale, misure di prevenzione, Convenzione europea dei diritti dell’uomo, libertà personale.
Resumo: As medidas de prevenção pessoal representam um sério risco para os direitos dos cidadãos. Em particular, o julgamento de periculosidade, no qual se fundamentam, tem uma falta de determinação tanto na base quanto na medida, representando um ponto crítico da disciplina italiana no que diz respeito às garantias constitucionais e às garantias da Convenção Europeia de Direitos Humanos. Direitos. No desenvolvimento de um estatuto constitucional e convencional de prevenção, é necessário evitar derivar, por analogia, uma série de proteções exigidas no campo penal, criando-se, em vez disso, um leque autônomo de garantias, devido à estrutura específica de tais medidas, em primeiro lugar de todos a ausência de um ato ilegal do destinatário como seu pré-requisito. Convém, portanto, abandonar a tentativa de reproduzir, neste campo, simetrias abstratas com o direito penal: é muito fácil para o legislador evitar o problema de uma sanção sem crime por meio de qualificações formais e a estrutura de prevenção está muito distante da a estrutura de uma acusação, como nos lembra a jurisprudência convencional. Pelo contrário, é melhor atualizar os recursos do habeas corpus para poder se opor aos vários mecanismos abusivos usados hoje para reduzir a liberdade pessoal, às vezes antes, às vezes independentemente da prática de um crime.
Palavras-chave: direito penal, medidas de prevenção, Convenção Europeia dos Direitos Humanos, liberdade pessoal.
Abstract: Personal prevention measures present a serious risk to citizens’ rights. In particular, the judgement of dangerousness, on which they are grounded, has a lack of determination both in the basis and in the yardstick, representing a critical point in the Italian discipline with regard to constitutional guarantees and the guarantees of the European Convention on Human Rights. In the development of a constitutional and conventional statute of prevention, it is necessary to avoid deriving, by analogy, a series of protections required in the criminal field, creating instead an autonomous range of guarantees, due to the specific structure of such measures, first of all the absence of an illegal act of the recipient as their prerequisite. It is therefore appropriate to abandon the attempt to reproduce, in this field, abstract symmetries with criminal law: it is too easy for the legislator to avoid the problem of a sanction without a crime through formal qualifications and the structure of prevention is too distant from the structure of an indictment, as conventional jurisprudence reminds us. Rather, it is better to update the habeas corpus features in order to be able to oppose the several abusive mechanisms used today to reduce personal freedom, sometimes before, sometimes regardless of the commission of a crime.
Keywords: criminal law, prevention measures, European Convention on Human Rights, personal freedom.
1. INTRODUZIONE. L’ECCEZIONE DELLA PREVENZIONE: LA SANZIONE SENZA PRECETTO
Senza scomodare raffinate teorie delle norme, più prosaicamente si può dire che il penalista è avvezzo a maneggiare norme composte da un precetto (o norma comportamentale) e una sanzione (o norma sanzionatoria) da applicarsi nel caso di fallimento, vale a dire di mancato rispetto della prima.
Tutt’altro lo scenario nel campo delle misure di prevenzione. Queste sono strutturalmente, oseremmo dire ontologicamente, difformi rispetto alla norma penale per due principali motivi:
si tratta di norme che difettano di precetto, a meno di non volerlo ricostruire in termini generalissimi e al limite del non sense (potrebbe suonare così: «non accingerti a commettere reati!», oppure «non sostentarti tramite la commissione di illeciti!» e via dicendo);
pur in assenza di precetto, sono caratterizzate dall’ipervalidità della sanzione, o meglio, di una ‘pseudo-sanzione’, data l’assenza di un imperativo da rinforzare con una punizione. Nella prevenzione si avverte infatti una decisa afflittività del potere pubblico nei confronti di un privato, in assenza di una violazione di un divieto o di un comando. Si ha così il paradosso di una reazione statuale, afflittiva spesso non meno di una pena, pur in mancanza di un illecito cui reagire.
Che ci si trovi dunque di fronte ad un aliud rispetto all’universo penalistico è evidente. Tanto adottando una prospettiva, per così dire, imperativista, quanto normativista.
La prima, così influente sul tecnicismo giuridico italiano di inizio Novecento e sulla scuola classica tedesca, come noto concepisce il diritto penale come strumento di condizionamento diretto dei consociati attraverso comandi[2]: ebbene, la prevenzione è per lo più pura afflizione senza un previo ordine generale e astratto rivolto ai destinatari.
Anche in una prospettiva à la Kelsen, a cui il penalista italiano è dal dopo guerra ad oggi legato a doppio filo, come si ben può leggere nei lavori di Marcello Gallo agli inizi degli anni Cinquanta e ancor oggi conferma Paliero[3], non può che percepirsi l’estraneità delle misure ante delictum: nel paradigma esplicativo kelseniano la sanzione (o norma sanzionatoria), da intendere come vera e propria ratio essendi di una norma valida, rappresenta la seconda componente dell’enunciato ipotetico deontico, accanto al precetto comportamentale. Sicché delle due l’una: se quest’ultimo è rispettato, il precetto sanzionatorio rivolto ai giudici non trova applicazione, se invece non lo è, si deve attivare la risposta reattiva dell’ordinamento[4]. Nel caso delle misure di prevenzione invece la norma sanzionatoria opera a prescindere da questo meccanismo.
Ci troviamo allora in presenza di una disciplina sui generis, che nonostante la tradizionale assimilazione al diritto penale, non ha con questo nulla a che spartire.
Proprio nella indubbia originalità della prevenzione risiede il problema fondamentale delle misure ante delictum, quanto meno nell’ambito di uno Stato di diritto: esse difettano di una giustificazione per la cifra di sofferenza che veicolano a carico del destinatario.
In altro modo, non diversamente dal diritto penale, esse presentano al legislatore ‘il conto’ in termini di elevato costo sociale, in chiave di incapacitazione, quanto meno parziale, del destinatario (per le misure personali), di danno economico per lo stesso (per quelle patrimoniali), senza alcuna contropartita in termini di tutela diretta di beni giuridici. Questi ultimi sono presenti sullo sfondo, ma non come destinatari di un’offesa, ma di una prevenzione generalizzata e indistinta.
Ciò non di meno la proliferazione del tessuto della prevenzione ne testimonia l’intrinseca appetibilità per il legislatore contemporaneo attento a garantirsi un pervasivo strumento di controllo sociale; la circostanza dovrebbe indurre ad un’estrema diffidenza il penalista liberale, come rispetto ad ogni altro istituto che si faccia comodo strumento della tutela del livido volto dell’ordine pubblico.
2. I MOLTEPLICI VOLTI DELLA PREVENZIONE, DALLA DIMENSIONE PUBBLICA A QUELLA PRIVATA
Nel nostro ordinamento il ricorso alle misure di prevenzione è una costante che affonda le radici addirittura nella legislazione preunitaria sabauda[5]. Lungi dal ripercorrere le molteplici evoluzioni normative in argomento, si può però facilmente costruire una tassonomia che schematizzi le aree di impiego di siffatti strumenti, via via aggregatesi l’una sull’altra.
In un primo stadio, e per lungo tempo, le misure ante delictum sono state lo strumento elettivo per il contrasto al mero ‘disordine sociale’ e a tutela dell’ordine pubblico ‘comune’, inteso come pubblica tranquillità (paradigmatica in questo senso la menzione, tra i destinatari possibili, di oziosi e vagabondi)[6]: ancora in questa luce deve essere letta la l. 27.12.1956 n. 1423.
In un secondo momento, a partire dagli anni Sessanta e attraverso una serie di tappe intermedie, tra cui spiccano la l. 31.5.1965 n. 575, la l. 22.5.1975 n. 152 e la l. 13.9.1982 n. 646, si è assistito ad un salto di qualità nell’impiego delle misure di prevenzione, dispiegate contro le variegate forme di antagonismo all’ordinamento e finanche a presidio della sicurezza costituzionale, nei confronti delle associazioni criminali prima e di quelle terroristiche dopo[7].
Successivamente si è assistito ad un ‘revival’, da parte del legislatore, della vocazione poliziesca dello strumento, che non si è però eclissata, riaggallando dapprima nel 1989, con la l. 13.12.1989 n. 401 (rimodulata poi dal d.l. 22.8.2014 n. 119), quando sono state introdotte misure di interdizione all’accesso a luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive (c.d. d.a.spo. di cui all’art. 6) per determinate categorie di soggetti ‘violenti’[8]; successivamente nel 1998, con l’espulsione prefettizia dello straniero, di cui all’art. 13 del d. lgs. 25.7.98 n. 286, con particolare riferimento alla lett. c del co. 2, in base al quale l’allontanamento dal territorio dello Stato si pone come misura speciale per soggetti riconducibili alle fattispecie di pericolosità generica o specifica. In questo filone può ben inserirsi tra gli interventi più recenti il c.d. ‘d.a.spo. urbano’, sul modello di quello previsto nell’ambito degli eventi sportivi e volto a implementare la sicurezza nei centri cittadini[9], introdotto dagli artt. 9 e 10 d.l. 20.2.2017 n. 14 conv. in l. 18.4.2017 n. 48.
Si è registrata poi sempre nella direzione sovraindividuale, ma passando dall’ordine pubblico alla pubblica amministrazione, la l. 17.10.2017 n. 161, che ha incluso, tra i soggetti a pericolosità qualificata di cui all’art. 4 d. lgs. 159/2011, gli indiziati di appartenenza all’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti contro la P.A.[10].
Infine, un nuovo imprevedibile campo di utilizzo. La ‘codificazione’ del 2011 non ha però implicato una sedimentazione delle misure: proprio a cavallo del cambio di decennio si è, infatti, constatata un’ulteriore espansione di questi strumenti, che peraltro hanno assunto un aspetto mutevole, in una direzione ‘privatistica’ (venendo cioè impiegati, in questo secondo caso, nell’ambito di vicende marcatamente individuali, ben lontane da un contesto di rischio per la collettività). Un nuovo modello di prevenzione, per così dire ‘inter privatos’, rispetto a cui è esemplare il caso del c.d. stalking. Il riferimento corre all’ammonimento del questore di cui all’art. 8 d.l. 23.2.2009 n. 11 (convertito dalla l. 23.4.2009 n. 38), a cui è stato poi fatto rinvio, in un secondo tempo, nell’ambito delle misure relative a condotte di violenza domestica di cui all’art. 3 d.l. 14.8.2013 n. 93 conv. in l. 15.10.2013 n. 119[11]. Rileva in quest’ottica anche l’art. 7 l. 29.5.17 n. 71, che ha introdotto l’ammonimento anche in relazione a fatti suscettibili di integrare i reati di cui agli artt. 594, 595, 612 Cp e 167 del c.d. Codice Privacy, compiuti mediante internet da minorenni ultraquattordicenni nei confronti di altro minorenne[12].
Nel frattempo, raggiunta una fase, per così dire di ‘maturità’ del sistema della prevenzione, si è assistito ad un consolidamento, in un unico testo normativo della stratificazione normativa decennale che ormai si era registrata. Si è così giunti al d. lgs. 159/2011 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione[13]).
Al netto degli interventi normativi anche recentissimi, è possibile constatare l’assestamento di un rapporto ‘a specchio’ tra misure di prevenzione ante delictum e misure di sicurezza post delictum, che trova la propria ‘cerniera’ nel concetto di pericolosità personale: prima del reato, questa assume le fattezze della pericolosità per la sicurezza pubblica (si vedano artt. 2 co. 1 e 6 co. 1 del d. lgs. n. 159) e giustifica l’adozione di una misura di prevenzione; dopo l’illecito, viene normativamente declinata come pericolosità sociale, ai sensi del combinato disposto degli artt. 202 e 203 Cp, e fonda l’applicazione di una misura di sicurezza[14].
3. PREVENZIONE E DIRITTO PENALE: ANALOGIE FUNZIONALI E DIFFORMITÀ STRUTTURALI
Avendo misurato l’estensione del perimento delle misure di prevenzione nel nostro ordinamento, è ora il tempo di indagarne i caratteri tipici, anche attraverso un confronto con le sanzioni penali, rispetto a cui si possono notare molteplici affinità.
Basti considerare il profilo funzionale di entrambe: gli scopi perseguiti (la prevenzione dei reati) e i meccanismi impiegati (l’incisione della libertà personale, quanto meno per le misure in analisi) sono del tutto assimilabili.
Si tratta di strumenti afflittivi, sia per la sofferenza specifica che veicolano a carico del destinatario, sia per la stigmatizzazione sociale che ne deriva[15]. Sono gli interessi personalissimi attinti da tali misure e la degradazione che ne consegue, già notata dalla Corte costituzionale nella nota sentenza n. 68 del 1964, ad avvicinarle inevitabilmente ai principi penalistici di garanzia.
In questo senso può rilevare:
la modulazione della misura in sé: si pensi alle prescrizioni in tema di sorveglianza speciale, che possono far tracimare quest’ultima dalla mera limitazione della libertà personale alla privazione di fatto della stessa, in modo non dissimile da una sanzione penale in senso stretto[16];
la disciplina generale degli effetti di siffatti strumenti, al di là delle prescrizioni connesse alle singole misure: l’applicazione di queste ultime, in base al disposto degli artt. 66 e 67 d. lgs. 159/2011, implica una serie di interdizioni e decadenze automatiche, di tipo afflittivo e desocializzante, con la conseguente espulsione del prevenuto dal circuito economico[17].
Anche per altro verso si possono notare momenti di vera e propria tangenza tra misure ante delictum e sistema penale.
A mero titolo di esempio, si ricordi che la violazione delle prescrizioni è sanzionata con la reclusione da uno a tre anni e con la multa, ai sensi dell’art. 76 co. 2 d.lgs. 159/2011, o che la sottoposizione a misura di prevenzione personale (o l’esserlo stato nei tre anni precedenti) aggrava il trattamento sanzionatorio per una cospicua serie di illeciti penali, ai sensi dell’art. 71 d. lgs. 159/2011[18].
Ciò non di meno è evidente, altresì, una netta cesura tra le due normative.
Le misure di prevenzione non hanno alcuna connotazione retributiva, perché, più in radice, è assente il presupposto di un fatto illecito da sanzionare proporzionalmente. Esse, infatti, non prendono le mosse da un’offesa ingiusta che costituisca fondamento giustificativo e limite della punizione legittima.
A ben guardare manca il prius logico di un qualsiasi tipo di sanzione, poiché per essere tale, una misura afflittiva deve implicare per l’autore un danno superiore all’offesa cagionata all’interesse protetto dall’ordinamento o comunque una riduzione qualitativa della sua condizione socioeconomica rispetto a quella precedente alla condotta illecita[19]. Nulla di tutto ciò avviene per le misure in analisi, che operano in via anticipata rispetto a qualsivoglia offesa, posto che la loro ratio essendi è la neutralizzazione della probabilità di commissione di reati da parte del prevenuto[20].
La mancanza di un fatto illecito segna, da un lato, l’elemento differenziale fondamentale rispetto alle sanzioni penali e dall’altro lato, paradossalmente, costituisce al contempo un grave potenziale vulnus alle garanzie del cittadino, che si trova privato di un riferimento empirico per le proprie difese.
Misure di prevenzione e pene sono contenute in un medesimo genus, quello delle misure afflittive di controllo sociale, ma solo le pene prevedono un’afflizione funzionale alla punizione di un fatto[21].
4. LA CONVENZIONE EDU E L’IRRILEVANZA DELLA CD. MATIÈRE PÉNALE
Anche in materia di prevenzione, da tempo la Costituzione costituisce solo uno dei parametri di garanzia per il cittadino, cui si è affiancata la Convenzione europea dei diritti dell’uomo con la annessa giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
Proprio quest’ultima rappresenta un’interlocutrice imprescindibile per l’interprete, essendo intervenuta ripetutamente con pronunce via via più significative.
Anche dalla giurisprudenza europea è emersa, come già dalle sentenze della Corte costituzionale, la piena legittimazione delle nostre misure di prevenzione, quali strumenti necessari per il conseguimento di obiettivi di sicurezza pubblica compatibili con la Convenzione[22].
Al penalista nostrano sorge spontanea e immediata la domanda se le misure ante delictum appartengano alla matière penale convenzionale e dunque meritino l’applicazione delle relative garanzie, in primis quelle di cui agli artt. 6 e 7 della Convenzione, e in secundis quella – davvero à la page negli ultimi tempi – del ne bis in idem (sostanziale) rispetto alle sanzioni penali strictu sensu[23].
Le risposte, a questo proposito, sono molto chiare e in qualche modo conseguenziali tra loro.
La Corte ha ripetutamente escluso la natura penale delle misure di prevenzione, tanto personali (sorveglianza speciale) quanto patrimoniali (confisca di prevenzione)[24], individuando poi il parametro convenzionale di riferimento non tanto nell’art. 5, posto a tutela della libertà personale, quanto nell’art. 2 del IV Protocollo, che presidia la libertà di circolazione[25].
Paradigmatico il caso della sorveglianza speciale. Se nel caso Guzzardi vs Italia[26], la misura accompagnata dall’obbligo, oggi non più previsto, di soggiornare in comune diverso dalla residenza era stata effettivamente giudicata lesiva del diritto di cui all’art. 5 Convenzione edu, successivamente la Corte ha ricondotto la stessa misura (sia con divieto di soggiorno in uno o più comuni sia con obbligo di soggiorno nel comune di residenza) all’art. 2 del Prot. IV Convenzione edu, in quanto tali imposizioni non avrebbero carattere privativo della libertà personale, ma meramente limitativo della libertà di circolazione e di movimento[27].
Conseguentemente, è da negare l’operatività del principio del bis in idem (sostanziale), poiché questo presuppone due sanzioni riconducibili alla materia penale secondo i noti criteri Engel[28].
La morale che si può trarre dalla esperienza convenzionale è che l’esclusione delle misure di prevenzione dall’ambito penalistico non significa però per la Corte edu la rinuncia a stringenti garanzie per il cittadino, precisamente:
a quelle conseguenti alla natura degli interessi che vengono immediatamente incisi dal provvedimento pubblico; si pensi, in questo senso, alla libertà di circolazione, che ha comunque consentito la censura della sorveglianza speciale italiana per difetto di legalità/prevedibilità;
a quelle imprescindibili per la conformazione ‘secondo lealtà’ dei rapporti tra cittadino e autorità; dalla certezza del diritto, in primis, al principio di irretroattività, che opera a prescindere dalla spendibilità della qualifica penale della misura (si noti che in effetti essa è sempre più garantita persino nel diritto civile[29]).
La summa di questo approccio, coerente sviluppo della giurisprudenza della Corte edu, è rappresentata dalla oramai celeberrima sentenza De Tommaso vs Italia[30], nella quale la Corte ha rilevato, in prima battuta, l’insufficiente prevedibilità delle conseguenze della propria condotta per il soggetto colpito dalla misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale e, in seconda battuta, la vaghezza e imprecisione relativa al contenuto delle prescrizioni che si accompagnano all’imposizione della stessa.
Si tratta delle stesse ingiunzioni che non molti anni prima la Consulta (sentenza n. 282/2010) aveva ritenuto fossero sufficientemente determinate, scrutinando il reato che puniva la violazione della sorveglianza speciale e in particolare delle prescrizioni di cui all’art. 5 dell’allora l. 1423/1956 (la prescrizione di “vivere onestamente”, “rispettare le leggi”, nonché quella di “non dare ragioni di sospetti”, secondo la disciplina in quel tempo vigente).
Anche la Cassazione aveva legittimato in varie occasioni[31] tali previsioni, per quanto debba ammettersi che la stessa Suprema Corte abbia comunque, al contempo, tentato di contenere la vaghezza della fattispecie penale riferita alla violazione delle prescrizioni connesse alla misura di prevenzione (oggi prevista all’art. 75 co. 2 d. lgs. 159/2011), sostenendo che potesse rilevare solo quella inosservanza che si traducesse in una vanificazione della misura stessa[32].
Il dictum della Corte europea concerne essenzialmente l’indeterminatezza della fattispecie di pericolosità generica, che renderebbe impossibile prevedere con sufficiente certezza l’ambito di applicazione delle misure in analisi e dunque prevenirne un’interpretazione arbitraria (§§ 117 e 118 della sentenza).
In secondo luogo, è stata censurata la vaghezza di alcune prescrizioni obbligatorie che corredano la sorveglianza speciale, con particolare riferimento a quelle di vivere onestamente e rispettare le leggi e di non dare ragioni di sospetti (§ 119 della sentenza)[33], ma altresì delle prescrizioni facoltative, che il giudice può imporre discrezionalmente alla sola condizione che siano necessarie alla difesa sociale (§ 121 della sentenza) ed anche la prescrizione del divieto assoluto di partecipare a pubbliche riunioni, senza specificazioni spaziali o temporali, interamente rimessa al libero apprezzamento del giudice (§123 della sentenza).
Tirando le fila del discorso, la lettura della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, confermata anche nel recente caso De Tommaso, dimostra che le ‘garanzie Cedu’ possono essere assai incisive e traumatiche per il nostro sistema della prevenzione, anche senza scomodare la matière pénale.
Dall’analisi combinata del tipo di bene inciso dalla coazione pubblica e del rapporto tra precetto e destinatario emerge per le misure in analisi uno statuto convenzionale flou, variabile a seconda del diritto soggettivo del cittadino che venga in rilievo, ma certo più efficace di una tutela monolitica dipendente della semplice qualificazione formale dello strumento afflittivo[34].
5. LA SITUAZIONE ATTUALE DEL SISTEMA DELLE MISURE DI PREVENZIONE
La sentenza della Corte edu nel caso De Tommaso ha gravemente scosso, sin dalle fondamenta, il sistema italiano della prevenzione, sicché, come era prevedibile, si continuano a registrare movimenti di assestamento nella giurisprudenza, tanto di merito quanto di legittimità, e che giungono fino alla Corte costituzionale.
Sia la Cassazione che le Corti territoriali hanno assunto atteggiamenti diversificati di fronte al dictum della Corte edu, ora di resistenza ora di adeguamento, quest’ultimo secondo due percorsi alternativi: il primo mediato da una questione di legittimità costituzionale, il secondo immediato, caratterizzato cioè dall’impiego della interpretazione convenzionalmente conforme da parte del giudice comune (esemplare in questo senso la sentenza delle Sezioni Unite del 2017 (cd. sentenza Paternò)[35].
La forte sollecitazione del sistema delle misure di prevenzione italiane da parte della Corte edu ha dunque ingenerato reazioni giurisprudenziali variegate, alcune anomale rispetto alle regole di sistema attinenti agli equilibri tra poteri, altre ottative, se non velleitarie. Si tratta, come evidente, di scenari che non possono nemmeno essere lambiti dalla presente analisi; basti qui rilevare che, infine, in esito agli incidenti di costituzionalità proposti, la Consulta ha potuto esprimersi con le decisioni nn. 24 e 25 del 2019, che hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme scrutinate[36].
Si tratta, più precisamente, dell’art. 1 l. n. 1423/1956 (poi confluito nell’art. 1 lett. a d. lgs. n. 159/2011), dell’art. 19 l. n. 152/1975, degli artt. 4, co. 1, lett. c, e 16 d. lgs. 159/2011, per quanto riguarda la sentenza n. 24: troppo impreciso il riferimento all’applicazione delle misure alle persone «abitualmente dedite a traffici delittuosi.[37].
Per quanto riguarda, invece, la sentenza n. 25, essa ha caducato l’art. 75 co. 1 e co. 2 d. lgs. n. 159/2011, nella parte in cui puniscono (rispettivamente, come contravvenzione e delitto) la violazione degli obblighi e delle prescrizioni inerenti alla misura della sorveglianza speciale, ove consistente nell’inosservanza delle prescrizioni di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi”.
Per inciso è da notare come la Corte abbia chiarito che nonostante l’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione (la precitata sentenza Paternò), il completamento del processo di adeguamento del nostro ordinamento al diritto convenzionale passi dallo scioglimento della questione di costituzionalità da parte della Consulta, che, diversamente dalla Corte edu, è in grado di svolgere una valutazione sistemica degli interessi coinvolti (cfr. §§ 12 e ss. del considerato in diritto della sentenza n. 25/2019).
Volendo identificare la cifra delle due decisioni ‘gemelle’ del 2019, anche se la n. 24 assume la maggiore rilevanza occupandosi più da vicino dei presupposti operativi delle misure di prevenzione, è possibile constatare la penetrazione sempre più profonda del principio di prevedibilità della base legale dei provvedimenti che incidano sui diritti dei cittadini. In questo quadro ben può avere un ruolo la giurisprudenza, ma solo come ausilio utile a comprendere esattamente i tratti della disciplina e in tanto in quanto ciò contribuisca ad incrementare il tasso complessivo di accessibilità della normativa[38].
6. QUALI GARANZIE PER LA PREVENZIONE?
Alla luce di quanto fin qui detto, è possibile affermare che le misure in analisi abbiano certamente un contenuto afflittivo, in modo via via crescente passando dall’ammonizione alla sorveglianza speciale; il momento finalistico, orientato alla prevenzione più che alla punizione, unito all’assenza di un illecito presupposto nella struttura di questi istituti, le riconduce però fuori dalla materia penale convenzionale[39].
Occorre ora identificare quali principi costituzionali interni valgano per il diritto della prevenzione.
Impiegare tale nozione può avere una portata euristica e non solo classificatoria, allorché consenta di comprendere come si tratti di una disciplina in sé conchiusa, in cui le garanzie non possono essere pedissequamente importate dal sistema penale, ma devono venire autonomamente forgiate a partire dai diritti che vengono incisi dalla applicazione delle misure ante delictum.
La Costituzione certo tace su queste ultime. Si tratta di un silenzio su cui molto si potrebbe argomentare, sia nel senso che il Costituente abbia espresso per fatti concludenti la volontà di bandirle dall’ordinamento repubblicano[40], sia, in direzione opposta, per sostenere che esista una sorta di statuto costituzionale implicito di siffatti strumenti di controllo sociale, derivabile per analogia iuris dalle garanzie valide per il diritto penale in senso stretto[41].
Ancora oggi la prima opinione è autorevolmente sostenuta, al punto che, per alcuni Autori, quello della prevenzione italiana è un modello costituito da «norme totalmente incompatibili con il quadro dei principi fondamentali»[42].
È certamente di un’opzione lineare e coerente, per vero confortata anche dall’esperienza comparata, che dimostra (come notato dalla stessa Corte edu nella sentenza De Tommaso) che nella maggioranza degli ordinamenti europei non è prevista una disciplina assimilabile alla nostra, il che contribuisce a suggerirne il superamento.
La conclusione però potrebbe, a nostro parere, essere affrettata.
Il fatto possiede a volte una forza tale che il diritto non può che adeguarsi. La domanda sulla costituzionalizzazione implicita delle misure di prevenzione è divenuta oziosa, a seguito del costante impiego di tali strumenti da parte del legislatore dal dopoguerra ad oggi, nonché del riconoscimento da parte della Corte edu della ammissibilità di simili misure nel quadro del legittimo obiettivo di prevenire reati[43].
Di fronte all’interprete si stagliano oggi plurime disposizioni di legge che nell’epoca repubblicana hanno certificato la piena cittadinanza di siffatti strumenti nel nostro ordinamento, il che dovrebbe indurre forse ad un’interpretazione evolutiva del testo costituzionale, per comprendere quali norme di esso possano definire i confini di garanzia delle misure ante delictum.
A conforto di questa tesi, la stessa Consulta, pur avendo rimosso nel corso del tempo le componenti più retrive della disciplina delle misure di prevenzione, ne ha contemporaneamente suggellato la compatibilità con la Carta fondamentale[44].
In particolare, deve segnalarsi che, a seguito della riforma costituzionale del 2001, la menzione dell’ordine pubblico tra le materie di esclusiva spettanza dello Stato all’art. 117 co. 2 lett. b ha indotto la Consulta a evidenziare la stretta connessione tra prevenzione dei reati e tutela dell’ordinata e civile convivenza, rendendo la prima una funzione costituzionalmente rilevante[45].
È, dunque, conseguenziale la legittimazione delle previsioni legislative che si propongano la soddisfazione di tale interesse, all’interno peraltro di un preciso vincolo modale, perché la Corte ha chiarito, ulteriormente, che le misure in analisi possono perseguire l’obiettivo di prevenzione dei reati, ma naturalmente in modo proporzionato, limitando cioè la compressione di controinteressi costituzionalmente rilevanti alle sole ipotesi davvero indispensabili al raggiungimento dello scopo[46].
Accantonato il profilo pregiudiziale della incostituzionalità tout court del sistema della prevenzione, occorre comprendere quali siano le garanzie di riferimento in questa materia e come debbano essere calibrate.
6.1 La determinatezza del presupposto applicativo
Una delle tutele che non cessano di valere nel momento in cui si fuoriesce dal perimetro del diritto penale è certamente la determinatezza, nella duplice declinazione della pretesa di precisione della disposizione legale e della suscettibilità di verifica empirica del fatto tipizzato[47].
Si tratta di un’affermazione condivisa non solo dalla Corte edu, ma anche dalla nostra Corte di Cassazione e, altresì, dalla Corte costituzionale[48].
Peraltro, già da tempo la giurisprudenza di legittimità si è mossa nel senso di fornire una lettura c.d. ‘tassativizzante’ della pericolosità generica e di quella qualificata di tipo mafioso, ‘agganciando’ tali qualifiche alla previa attività delinquenziale compiuta dal proposto[49] e comunque sempre a fatti storicamente apprezzabili indicativi della propensione di quest’ultimo a commettere reati [50].
Nella medesima direzione si può leggere la valorizzazione del nesso tra procedimento di prevenzione ed esiti del giudizio penale, quando questo abbia avuto ad oggetto gli stessi fatti considerati come significativi di una pericolosità del prevenuto, in applicazione di un principio reso manifesto, con riferimento alla confisca, dall’art. 28 d. lgs. 159/2011[51].
Incidentalmente si deve rilevare che siffatta rimodulazione delle disposizioni in parola si traduce in un allineamento tra la disciplina delle misure di prevenzione e quella delle misure di sicurezza. Benché solo le seconde impongano la commissione di un illecito penale, non è negabile l’identità funzionale tra le due misure, entrambe volte alla prevenzione di futuri reati[52].
Il parallelismo è colto già nella sentenza n. 177/1980 della nostra Corte costituzionale, che aveva sostenuto che le misure condividessero la medesima finalità e fossero da intendere come due species di un medesimo genus, il che sottoponeva entrambe al necessario rispetto del principio di tipicità e determinatezza[53]. Sviluppando l’impostazione, la Consulta ha espressamente affermato l’applicabilità alle misure di prevenzione dell’art. 25 co. 3 Cost., riferito esplicitamente alle sole misure di sicurezza[54].
La categoria della pericolosità generica ha subìto dunque nel tempo una sorta di ‘tipizzazione di secondo livello’, operante in particolare nel c.d. diritto vivente, che ha via via preteso che l’inquadramento del proposto nella fattispecie di prevenzione si fondi su dati di fatto identificabili e controllabili[55].
La Corte costituzionale, fin dalla appena citata sentenza n. 177/1980, ha legato strettamente tassatività e determinatezza, intesa come verificabilità empirica o aderenza a vincoli di realtà; in quest’ultima sentenza, in particolare (§ 6 del considerato in diritto), la Consulta ha imposto di distinguere tra fattispecie astratta, descrittiva di tipi di condotte o altri elementi di fatto significativi, e successivo giudizio di pericolosità in concreto del proposto, onde evitare che il giudice definisca di volta in volta, avvalendosi di una discrezionalità senza limiti, i presupposti della misura. Conseguenziale la necessità che nella fattispecie normativa debbano comparire sintomi dotati di chiara natura fattuale, in grado di esprimere una situazione di reale pericolo per l’ordinamento e per la sicurezza pubblica[56], descrivendo sempre comportamenti obiettivamente identificabili[57] ben lontani dalla consistenza del sospetto[58].
Se è vero che la Cassazione ha progressivamente tipizzato la base della prognosi di pericolo, come abbiamo visto, non risulta prudente affidarsi, in un sistema di civil law, esclusivamente alla concretizzazione giurisprudenziale in simili contesti, proprio per la natura intrinsecamente instabile dello strumento ermeneutico se non supportato da una previsione legislativa rigida[59]. Inoltre, l’implementazione della sola prevedibilità del giudizio può essere assai dannosa per le altre componenti della legalità, come abbiamo già avuto modo di apprezzare in altra sede[60].
6.2 La tutela giurisdizionale
Una seconda garanzia, anche se dal punto di vista cronologico è stato il primo nucleo di tutela riconosciuto dalla Corte costituzionale in tema di prevenzione, è tutta processuale, riferibile al principio dell’habeas corpus, che impone un controllo giurisdizionale rispetto ad ogni limitazione della libertà personale del cittadino. In questo senso, fin dalle prime sentenze è stato elaborato dalla Consulta un importante standard di giudizio, secondo cui la garanzia di cui all’art. 13 Cost. deve valere per qualsiasi misura pubblica che veicoli in capo al destinatario una degradazione giuridica assimilabile alla privazione della libertà personale.
L’affermazione si rinviene agli albori della giurisprudenza della Corte, precisamente nella sentenza n. 11/1956 in tema di ammonizione, ma anche nella pronuncia n. 68/1964 con la quale la Consulta è tornata sull’argomento: ogni provvedimento pubblico, che provochi una diminuzione della dignità o del prestigio della persona o che comunque sia suscettibile di determinarne una condizione equiparabile all’assoggettamento all’altrui potere, è potenzialmente lesivo dell’habeas corpus e dunque reclama le relative garanzie[61]. Per la verità, la sentenza del 1964 ha fornito della nozione di degradazione giuridica necessaria ad attivare le garanzie costituzionali una lettura più restrittiva di quanto si potesse pensare dopo la pronuncia del 1956, intendendo come assimilabili ad una limitazione della libertà personale solo quelle più intense forme di degradazione sociale e individuale del destinatario, alla luce di una valutazione di tipo evidentemente quantitativo[62].
6.3 L’inestensibilità delle altre garanzie penalistiche all’universo della prevenzione
Diversamente da quel che accade per la determinatezza, capace di spingersi oltre il confine della materia penale (naturalmente con i dovuti adattamenti), siffatte garanzie patiscono invece una netta riduzione operativa, se non una vera e propria neutralizzazione, allorquando si confrontino con il diritto della prevenzione.
Le ragioni possono essere molteplici. Sono garanzie più evolute e raffinate della semplice determinatezza e precisione del testo normativo, richiedendo un’implementazione ‘di sistema’ e non riferita alla singola disposizione. Peraltro, sono esclusivamente orientate a favore del privato, mentre la determinatezza ha invece un doppio volto, poiché certo giova al destinatariodel comando, ma anche (nella accezione più corretta di tassatività) al potere politico che pretenda di farsi obbedire prontamente e miri a vincolare il giudice alla volontà della maggioranza parlamentare del momento manifestata nella legge[63]. Tra i corollari della legalità, la determinatezza è insomma il più compatibile con gli scopi di controllo sociale o, quanto meno, il vincolo che l’Autorità è più disposta ad accettare.
Irretroattività, colpevolezza e rieducazione, infatti, esprimono un rapporto tra individuo e pubblici poteri impostato in chiave liberale e democratica, improntato alla lealtà del rimprovero normativo e all’autodeterminazione del cittadino. Tutte pongono al centro il destinatario della coercizione statale e la possibilità di quest’ultimo di comprendere il contenuto dei precetti a lui rivolti dall’ordinamento ed orientarsi sulla base di essi, ponendo, se necessario, in secondo piano le pretese di ordine e sicurezza avanzate dall’autorità e dai consociati. Quella del diritto della prevenzione è, invece, una prospettiva evidentemente antitetica, che accorda preminenza alle esigenze pubbliche rispetto alle prerogative del singolo: di qui il sostanziale rigetto, almeno al momento, dei principi diversi dalla determinatezza.
Si noti che anche nelle proposte di riforma della disciplina, volte ad orientarla in senso maggiormente coerente con la Costituzione e la Convenzione edu, la colpevolezza è assente tra i criteri direttivi; sono piuttosto la ragionevolezza e la proporzione a farla da padrone[64], criteri dunque puramente oggettivi e normativi, rilevanti più per l’attività esegetica dell’applicatore piuttosto che per le libere scelte d’azione del destinatario.
Non deve allora stupire che la giurisprudenza affermi che il divieto di retroattività sfavorevole non valga per le misure in analisi e che ancora di recente la Cassazione abbia rilevato, sia pure in materia di confisca, che il principio regolativo della successione di leggi sia il tempus regit actum[65].
È però soprattutto l’universo valoriale dell’art. 27 Cost. a rimanere estraneo alla disciplina delle misure di prevenzione.
L’esclusione della colpevolezza e della rieducazione da tale sottosistema trova fondamento anche nel contenuto delle fattispecie di cui agli artt. 1 e 4 d. lgs. 159/2011. Mentre la prima è sempre riferita ad un fatto commesso dal reo e la seconda trova il proprio riferimento in una condotta espressiva di un antagonismo rispetto ai valori dell’ordinamento, le misure in analisi difettano, come abbiamo visto, di un comportamento illecito compiuto dal proposto e si caratterizzano per una finalità esclusivamente preventiva, in nessun modo contaminata dalla prospettiva risocializzativa[66].
La qualifica di pericolosità, generica o qualificata che sia, veicola insomma una prognosi criminale del giudice sul profilo delinquenziale del prevenuto e non certo una diagnosi rispetto alla responsabilità per un reato già commesso; peraltro, può rilevarsi come in questo ambito si prescinda totalmente dalla sfera soggettiva dell’agente, intesa come rimproverabilità e propensione personale oppositiva rispetto ai valori della collettività: la pericolosità per la sicurezza pubblica è una qualità che si apprezza non in chiave personologica, ma per lo più puramente oggettiva[67].
La logica della prevenzione rappresenta dunque una sorta di ‘canone inverso’ rispetto ai principi di colpevolezza e di rieducazione di cui all’art. 27 Cost.[68].
L’estraneità all’obiettivo rieducativo si apprezza anche dal punto di vista degli effetti delle misure in analisi: gli artt. 66 ss. d. lgs. 159/2011 implicano l’estromissione del prevenuto dal contesto sociale, quanto meno dal punto di vista strettamente economico-produttivo, posto che prevedono decadenze e interdizioni (dalle licenze di commercio, dalle partecipazioni a gare pubbliche, dalle autorizzazioni e dalle concessioni per lo svolgimento di attività imprenditoriali, dai finanziamenti e dalle iscrizioni in registri pubblici ecc.). Perfino la personalità della responsabilità, contenuto minimale dell’art. 27 co. 1 Cost., è posta in discussione da tali previsioni, se è vero che l’art. 67 co. 4 d. lgs. 159/2011 consente al Tribunale di coinvolgere nei divieti e nelle preclusioni previste dai commi precedenti chiunque conviva con il prevenuto.
Per completezza va rilevato che l’estraneità della disciplina in commento rispetto ai contenuti dell’art. 27 Cost. è totale e riferibile dunque anche al profilo processuale della regola di giudizio da applicare nel procedimento di prevenzione. Non vi è spazio per la presunzione di innocenza, poiché l’intero rito si fonda su un’inversione dell’onere della prova, essendo sufficiente all’applicazione della misura, come visto, un semplice indizio, privo dei requisiti di cui all’art. 192 Cpp[69].
Giungendo a sintesi, più che pretendere che vi siano delle tutele connaturate al diritto della prevenzione è preferibile piuttosto applicare le garanzie reclamate dai diritti incisi dalle misure ante delictum: determinatezza da una parte, riserva di giurisdizione effettiva (non meramente formale), dall’altra parte.
7. LA DISTINZIONE ESSENZIALE SULLA BASE DEL RAPPORTO COSTI/BENEFICI: PREVENZIONE PATRIMONIALE VS PREVENZIONE PERSONALE
Tirando le fila del discorso svolto nei paragrafi precedenti, è possibile affermare che le sanzioni penali e le misure di prevenzione abbiano un comune denominatore, la capacità afflittiva, e un elemento differenziale, la funzione punitiva, che è propria solo delle prime.
Mentre l’afflittività di entrambe implica l’estensione di alcune garanzie costituzionali dalle une alle altre, la funzione strettamente punitiva conduce a ritenere applicabili alle sole sanzioni penali tutti i corollari della legalità e i presidi personalistici offerti dalla colpevolezza.
Dal punto di vista dei parametri costituzionali spendibili per sorvegliare l’impiego delle misure ante delictum, è emersa l’imprescindibilità del riferimento all’art. 25 Cost., sub specie di tassatività delle fattispecie di pericolosità, e all’art. 13 Cost. che, rispettivamente, dal punto di vista sostanziale e da quello processuale, testimoniano le garanzie ineludibili da rispettare allorché venga in gioco una compressione della libertà personale, tanto se preventiva alla commissione di un fatto di reato quanto se reattiva ad esso[70].
Ecco dunque il volto costituzionale delle misure di prevenzione, disegnato sulla base della loro capacità di incidere sui diritti e sullo status sociale dei cittadini[71].
Ciò non di meno, la legittimità costituzionale di siffatte misure non ne implica l’opportunità e l’utilità.
Sono valutazioni costo/beneficio che dovrebbero indurre ad abbandonare siffatta strategia di controllo sociale: la prevenzione presenta infatti oneri non giustificati da correlative utilità collettive.
Non solo spese per il mantenimento degli apparati per l’applicazione delle misure, ma costi immateriali, non da ultimo l’alone di sospetto che circonda la prevenzione e che impone un costante monitoraggio delle stesse da parte delle istituzioni di garanzia[72]. Per usare un termine della scienza economica, queste misure scontano un “alto costo di transazione”, qui da misurare in termini di legittimazione sociale e di congruenza con i principi fondamentali di sistema, da intendere come sintesi di Costituzione e convenzione.
É poi una considerazione effettuale a imporsi: ben prima di possibili profili di illegittimità costituzionale delle misure personali è la questione, tutta di fatto, della loro inefficacia preventiva a metterne in discussione la permanente legittimazione nel nostro sistema del controllo sociale[73].
Che si possa fare a meno della prevenzione personale è dimostrato, per tabulas, da una semplice analisi comparatistica, come quella condotta proprio di recente in una sede ‘qualificata’: la Corte Edu, nella sentenza De Tommaso vs Italia, ha rilevato (§ 69) come istituti simili alle nostre misure ante delictum siano presenti solo in 5 dei 34 Stati membri del Consiglio d’Europa[74].
Sia detto solo per inciso: le valutazioni sin qui svolte non valgono, se non in parte, per le misure di prevenzione patrimoniale, di cui non abbiamo fatto cenno nel presente lavoro.
Al netto di un’inevitabile modulazione ‘al rialzo’ delle garanzie, in primis processuali[75], che la rendano pienamente compatibile con lo scenario costituzionale, deve ammettersene una maggiore giustificabilità in un’ottica di sistema.
Innanzitutto, dal punto di vista funzionale: si tratta infatti di misure ablative sicuramente idonee a privare dei mezzi di sostentamento le associazioni criminali mafiose e terroristiche o comunque ad ostacolarne grandemente l’operatività, oltre a rappresentare un forte disincentivo alla commissione di reati economicamente motivati; finalità dunque che sono molto più nitide e suscettibili di verifica ex post rispetto alle misure personali. Inoltre, forse soprattutto, si stagliano nitidamente di fronte all’interprete interessi afferrabili, alla cui tutela la prevenzione patrimoniale si rivela strumentale: l’accumulazione illegittima di profitti genera infatti perversi effetti distorsivi sul mercato e sulla concorrenza, con evidenti e misurabili ricadute negative per la collettività.
Si può dunque pensare che, in futuro, la prevenzione possa essere ridotta alla pura prevenzione economica (previa migliore calibratura rispetto ai diritti del prevenuto). D’altra parte, già oggi, la confisca è ormai molto distante dalle misure personali: il principio di indipendenza reciproca tra le due tipologie di strumenti ante delictum era stato riconosciuto con il d.l. n. 92 del 2008[76] venendo poi confermato dalla l. n. 94 del 2009[77]. L’assetto è stato, infine, cristallizzato dall’art. 18 d. lgs. 6.9.2011 n. 159, sicché è possibile procedere all’applicazione disgiunta delle due tipologie di misure, finanche ammettendo che le patrimoniali operino in difetto dei presupposti di quelle personali, dunque della stessa pericolosità del proposto al momento della richiesta[78].
8. CONCLUSIONI. LO SCENARIO FUTURO: L’AMPUTAZIONE DELLA PREVENZIONE PERSONALE DAL CONTROLLO SOCIALE
Le misure in analisi si pongono al limite estremo della coercizione legittima da parte dello Stato democratico[79] e il dovere del giurista liberale è di chiedersi se sia davvero necessario spingere fino a tale punto il controllo pubblico posto che la misura ante (o praeter) delictum è solo una delle possibili opzioni sul campo, una species del genus della prevenzione giuridica degli illeciti penali.
La prevenzione del crimine è certamente uno dei doveri primari di ogni legislatore contemporaneo, ma i percorsi possibili per adempiere a tale obbligo[80] sono molteplici e l’impiego di misure restrittive della libertà personale (o di ablazione patrimoniale) in via anticipata rispetto al compimento di qualsivoglia illecito è solo uno dei tanti e peraltro il piùcostoso, in termini di sacrificio dei diritti dei destinatari.
Senza voler scomodare il riferimento a politiche sociali di integrazione e rimanendo al solo ambito del diritto pubblico, in chiave di razionalità di scopo è ovvio pensare che la più efficiente profilassi, soprattutto rispetto ai fenomeni criminosi più temuti (terrorismo, associazioni mafiose), si compia sul piano dell’intelligence e delle investigazioni preventive, piuttosto che attraverso obblighi o divieti di soggiorno, con il corredo di prescrizioni variegate o ammonizioni a tenere condotte conformi alla legge.
Eppure, misure come il foglio di via obbligatorio e l’avviso orale (le c.d. misure questorili), da una parte, e la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, dall’altra parte, continuano oggi a prosperare sia sul piano della prassi che su quello della legislazione, pur in presenza di fattispecie penali sempre più anticipate e disancorate da un collegamento con associazioni illecite[81].
Un simile approccio trova fondamento in una visione ‘riduzionistica’, se non autoritaria, del concetto di sicurezza pubblica[82], che considera cioè quest’ultima come sinonimo di ordine pubblico, da mantenere solo percorrendo i frustri binari di misure preventive che divengono strumento punitivo.
BIOGRAFIA DELL'AUTORE
Federico Consulich
Dottorato di ricerca in Diritto penale italiano e comparato (Università degli studi di Pavia - Pavia - IT). Professore ordinario (Università degli Studi di Torino - Torino - IT). Professore associato di Diritto penale (2014 - 2020) (Università degli Studi di Genova - Genova - IT). Ricercatore di diritto penale (2012 - 2014) (Università degli Studi di Genova - Genova - IT). Avvocato cassazionista (studio legale Giannangeli Consulich - Milano - IT). Diritto penale dell'economia. Membro del comitato scientifico delle riviste La legislazione penale, Sistema penale, DisCrimen e della rivista Giurisprudenza penale web. Sono revisore delle riviste Banca, Borsa e Titoli di credito, Rivista italiana di diritto e procedura penale e Rivista telematica di Diritto Tributario
BIBLIOGRAFIA
AMATO, Giuliano, Commento all’art. 13, Bologna-Roma: Zanichelli-Il foro italiano, 1977.
BALBI, Giuliano. Le misure di prevenzione personali. Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 2017, p. 511.
BASILE, Fabio. Quale futuro per le misure di prevenzione dopo le sentenze De Tommaso e Paternò?. Giurisprudenza italiana, 2018, p. 460.
BASILE, Fabio. Tassatività delle norme ricognitive della pericolosità nelle misure di prevenzione: Strasburgo chiama, Roma risponde. Disponibile in: www.penalecontemporaneo.it, 20.7.2018.
BIGNAMI, Marco. La Corte Edu e le leggi retroattive. Questione Giustizia, 13.9.2017.
BONETTI, Paolo. Ordine pubblico, sicurezza, polizia locale e immigrazione nel nuovo art. 117 della Costituzione. Le Regioni, Bologna, 2002, p. 483.
BRICOLA, Franco. Forme di tutela «ante delictum» e profili costituzionali della prevenzione. In: Scritti di diritto penale, vol. I, Tomo II, Milano, 1997, p. 920.
CADOPPI, Alberto; VENEZIANI, Paolo. Elementi di diritto penale. Parte speciale. Padova: CEDAM, 2016.
CATENACCI, Mauro. Le misure personali di prevenzione fra ‘critica’ e ‘progetto’: per un recupero dell’originaria finalità preventiva. Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 2017, p. 533.
CERESA-GASTALDO, Massimo. Misure di prevenzione e pericolosità sociale: l’incolmabile deficit di legalità della giurisdizione senza fatto. Disponibile in: www.penalecontemporaneo.it, 3.12.2015.
CERFEDA, Marco. La prevedibilità ai confini della materia penale: la sentenza n. 24/2919 della Corte costituzionale e la sorte delle “misure di polizia”. Archivio penale, Pisa, 2019, 2, p. 4.
CONSULICH, Federico. Le misure di prevenzione tra Costituzione e Convenzione. Legislazione penale, 19.3.2019.
CONSULICH, Federico. Lo statuto penale delle scriminanti, Torino: Giappichelli, 2018.
CONSULICH, Federico. Reati contro l’ordine pubblico. In: ANTOLISEI Francesco; GROSSO Carlo Federico (a cura di), Manuale di diritto penale, Parte speciale, II. Milano: Giuffré, 2016, p. 100.
CURI, Francesca. Prevenzione “intelligente”: “l’arma” che colpisce solo obiettivi pericolosi. Tra vacuità simbolica e azzeramento delle politiche sociali. In: CURI, Francesca (a cura di). Ordine pubblico e sicurezza nel governo della città, Bologna: Bononia University Press, 2016, p. 63.
DE LIA, Andrea. Misure di prevenzione e pericolosità generica: mote e trasfigurazione di un microsistema. Brevi note a margine della sentenza della Corte costituzionale n. 24/2019. Legislazione penale, 15.7.2019, p. 8.
DE VERO, Giancarlo. Ordine pubblico (delitti contro). In Digesto discipline penalistiche, IX, Torino, 1995, p. 72.
DE VERO, Giancarlo. Tutela dell’ordine pubblico e reati associativi. Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 1992, p. 93.
DE VERO, Giancarlo. Tutela penale dell’ordine pubblico, Milano: Giuffré, 1988.
DOLSO, Gian Paolo. Le misure di prevenzione personali nell’ordinamento costituzionale. In: FIORENTIN, Fabio (a cura di). Misure di prevenzione personali e patrimoniali. Torino: Giappichelli, 2018, p. 137.
DONINI, Massimo. Septies in idem. Dalla “materia penale” alla proporzione delle pene multiple nei modelli italiano ed europeo. Cassazione penale, Milano, 2018, p. 2288.
ELIA, Leopoldo. Libertà personale e misure di prevenzione. Milano: Giuffré, 1962.
FIANDACA, Giovanni. Criminalità organizzata e controllo penale. Indice penale, Roma, 1991, p. 5.
FIANDACA, Giovanni. Misure di prevenzione (profili sostanziali). In Digesto discipline penalistiche, VIII, Torino, 1994, p. 109.
FIANDACA, Giovanni; MUSCO, Enzo. Diritto penale. Parte generale, Bologna: Zanichelli, 2019.
FIANDACA, Giovanni; MUSCO, Enzo. Diritto penale, Parte speciale, I. Bologna: Zanichelli, 2012.
FINOCCHIARO, Stefano. Due pronunce della Corte costituzionale in tema di principio di legalità e misure di prevenzione a seguito della sentenza De Tommaso della Corte edu. Disponibile: in www.penalecontemporaneo.it, 4.3.2019.
FIORE, Carlo; FIORE, Stefano. Diritto penale, Torino: UTET, 2016.
FIORE, Carlo. Ordine pubblico (dir. pen.). Enciclopedia del diritto, XXX, Milano, 1980, p. 1084.
FORNASARI, Gabriele. Introduzione. In: FORNASARI, Gabriele; RIONDATO, Silvio (a cura di). Reati contro l’ordine pubblico, Torino: Giappichelli, 2017, XVIII.
FURFARO, Sandro. Per una definizione normativa di pericolosità sociale nel Codice delle misure di prevenzione. Archivio penale, Pisa, 2017, 3, p. 1079.
GALLO, E. Misure di prevenzione (voce). Enciclopedia giuridica Treccani, XX, Roma 1990, p. 1.
GALLO, Marcello. Il concetto unitario di colpevolezza, Milano: Giuffré, 1951.
GALLUCCIO, Alessandra. La Corte EDU esclude la natura penale del DASPO e, conseguentemente, la violazione del principio 'ne bis in idem' in caso di misura disposta per fatti oggetto di una condanna penale. Disponibile in: www.penalecontemporaneo.it, 13.11.2018.
GIUNTA, Fausto. Verso una nuova pericolosità sociale. In: PAVARINI Massimo; STORTONI Luigi (a cura di). Pericolosità e giustizia penale. Bologna: Bononia University Press, 2013, p. 89.
HASSEMER, Winfried. Libertà e sicurezza alla luce della politica criminale. In: DONINI, Massimo; PAVARINI, Massimo (a cura di). Sicurezza e diritto penale. Bologna: Bononia University Press, 2011, p. 59.
INSOLERA, Gaetano. Sicurezza e ordine pubblico. In: DONINI, Massimo; PAVARINI, Massimo (a cura di). Sicurezza e diritto penale. Bologna: Bononia University Press, 2011, p. 202.
KELSEN, Hans. La dottrina pura del diritto, Torino: Einaudi, 1967.
KELSEN, Hans. Lineamenti di dottrina pura del diritto, Torino: Einaudi, 1970.
MAGI, Raffaello. Sul recupero di tassatività nelle misure di prevenzione personali. Tecniche sostenibili di accertamento della pericolosità. Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2017, p. 501.
MAIELLO, Vincenzo. De Tommaso c. Italia e la cattiva coscienza delle misure di prevenzione. Diritto penale e processo, Milano, 2017, p. 1042.
MAIELLO, Vincenzo. La corruzione nel prisma della prevenzione ante delictum. Disponibile in: www.discrimen.it, 4.12.2018.
MAIELLO, Vincenzo. La prevenzione ante delictum: lineamenti generali. In PALAZZO Francesco; PALIERO, Carlo Enrico (diretto da). Trattato teorico pratico di diritto penale, XII. Torino: Giappichelli, 2015, p. 300.
MAIELLO, Vincenzo. Profili sostanziali: le misure di prevenzione personali. Giurisprudenza italiana, Milano, 2015, p. 1528.
MANES, Vittorio. Profili e confini dell’illecito para-penale. Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 2017, p. 988.
MANGIONE, Angelo. Le misure di prevenzione. In: CADOPPI, Alberto; CANESTRARI, Stefano; MANNA, Adelmo; PAPA, Michele (a cura di), Trattato di diritto penale. Parte generale, III. Torino: UTET, 2014, p. 443.
MANNA, Adelmo. Natura giuridica delle misure di prevenzione: legislazione, giurisprudenza dottrina. Archivio Penale, Pisa, 2018, 3, p. 17.
MANTOVANI, Ferrando. Diritto penale. Padova: CEDAM, 2017.
MARIANI, Elena. Le misure di prevenzione personali nella prassi milanese. Diritto penale contemporaneo, 2018, 10, p. 307.
MARINUCCI, Giorgio; DOLCINI, Emilio; GATTA, Gian Luigi. Manuale di diritto penale. Milano: Giuffré, 2018.
MASERA, Luca. La nozione costituzionale di materia penale. Torino: Giappichelli, 2018.
MAUGERI, Anna Maria. Dall’actio in rem alla responsabilità da reato delle persone giuridiche: un’unica strategia politico criminale contro l’infiltrazione criminale nell’economia?. In: FIANDACA, Giovanni; VISCONTI, Costantino (a cura di). Scenari di mafia, Torino: Giappichelli, 2010, p. 272.
MAZZACUVA, Francesco. La prevenzione sostenibile. Cassazione penale, Milano, 2018, p. 1019.
MAZZACUVA, Francesco. Le pene nascoste. Topografia delle sanzioni punitive e modulazione dello statuto garantistico. Torino: Giappichelli, 2017.
MOCCIA, Sergio. Ordine pubblico (disposizioni a tutela dell’). Enciclopedia giuridica Treccani, XXII, Roma, 1990, p. 1.
MORTATI, Costantino. Rimpatrio obbligatorio e Costituzione. Giurisprudenza Costituzionale, Milano, 1960, p. 683.
ORLANDI, Renzo. La ‘Fattispecie di pericolosità’. Presupposti di applicazione delle misure e tipologie soggettive nella prospettiva processuale. Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 2017, p. 470.
NISCO, Attilio. Principio di determinatezza e interpretazione in diritto penale: considerazioni teoriche e spunti comparatistici. Archivio penale web, 2017, 4, p. 19.
NUVOLONE, Pietro. Misure di prevenzione e misure di sicurezza (voce). In Enciclopedia del diritto, XXVI, Milano, 1976, p. 632.
PADOVANI, Tullio. Fatto e pericolosità. In: PAVARINI Massimo; STORTONI Luigi (a cura di). Pericolosità e giustizia penale. Bologna: Bononia University Press, 2013, p. 117.
PADULA, Carlo (a cura di). Le leggi retroattive dei diversi rami dell'ordinamento. Napoli: Editoriale scientifica, 2018.
PALAZZO, Francesco. Il principio di determinatezza nel diritto penale. Padova: CEDAM, 1979.
PALAZZO, Francesco. Per un ripensamento radicale del sistema di prevenzione ante delictum. Criminalia, Pisa, 2017, 141.
PALIERO, Carlo Enrico. L’indifferenza costruttiva, il contributo della sociologia di Theodor Geiger a teoria e prassi del diritto penale. Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 2019, p. 705.
PAVICH, Giuseppe; BONOMI, Andrea. Daspo e problemi di costituzionalità. Disponibile in: www.penalecontemporaneo.it, 25.5.2015.
PELISSERO, Marco. Contrasto al terrorismo internazionale e diritto penale al limite. Questione giustizia, 2016, p. 99.
PALIERO, Carlo Enrico (diretto da). Trattato teorico pratico di diritto penale, IV. Torino: Giappichelli, 2010, p. 225.
PELISSERO, Marco. I destinatari della prevenzione praeter delictum: la pericolosità da prevenire e la pericolosità da punire. Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 2017, p. 440.
PELISSERO, Marco. La nozione di ordine pubblico. In: PELISSERO, Marco (a cura di). Reati contro la personalità dello Stato e contro l’ordine pubblico, in PALAZZO, Francesco.
PETRINI, Davide. La prevenzione inutile. Illegittimità delle misure praeter delictum. Napoli: Jovene, 1996.
PITTARO, Paolo. La natura giuridica delle misure di prevenzione. In: FIORENTIN, Fabio (a cura di). Misure di prevenzione personali e patrimoniali. Torino: Giappichelli, 2018, p. 153.
PUGIOTTO, Andrea. Il principio d’irretroattività preso sul serio. Quaderni costituzionali, Bologna, 2017, 2, p. 18.
PULITANÒ, Domenico. Misure di prevenzione e problema della prevenzione. Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 2017, p. 641.
PULITANÒ, Domenico. Sicurezza e diritto penale. In: DONINI, Massimo; PAVARINI, Massimo (a cura di). Sicurezza e diritto penale. Bologna: Bononia University Press, 2011, p. 121.
SALVATO, Luigi. Profili del “diritto vivente” nella giurisprudenza di legittimità. Disponibile in: www.cortecostituzionale.it, 2.2015.
STANIG, Eva. L’evoluzione storica delle misure di prevenzione. In: FIORENTIN, Fabio (a cura di). Misure di prevenzione personali e patrimoniali. Torino: Giappichelli, 2018, p. 3.
THON, August. Norma giuridica e diritto soggettivo, trad. it. a cura di LEVI, Alessandro, Padova: CEDAM, 1951.
VALENTINI Elena. D.a.spo. e obbligo di firma: si acuiscono le perplessità di ordine costituzionale. In: CURI, Francesca (a cura di). Ordine pubblico e sicurezza nel governo della città, Bologna: Bononia University Press, 2016, p. 81.
VIGANÒ, Francesco. Art. 2 Prot. 4. In: UBERTIS, Giulio; VIGANò, Francesco (a cura di). Corte di Strasburgo e giustizia penale. Torino: Giappichelli, 2016, p. 356.
VIGANÒ, Francesco. Il nullum crimen conteso: legalità 'costituzionale' vs. legalità 'convenzionale'?. Disponibile in: www.penalecontemporaneo.it, 5.4.2017.
VIGANÒ, Francesco. Il principio di prevedibilità della decisione giudiziale in materia penale. Disponibile in: www.penalecontemporaneo.it, 19.12.2016.
VIGANÒ, Francesco. La neutralizzazione del delinquente pericoloso nell’ordinamento italiano. In: PAVARINI Massimo; STORTONI Luigi (a cura di). Pericolosità e giustizia penale. Bologna: Bononia University Press, 2013, p. 61.
Nota